Ultima bomba sulle urne Indagato per mafia il governatore della Sicilia

La «bomba» è arrivata ad urne aperte. E anche se in Sicilia non si vota, gli effetti della deflagrazione, notificata a mezzo stampa da Repubblica, sono comunque politici. Il presidente della Regione Sicilia, Raffaele Lombardo (Mpa), è indagato. Per il reato «classico» che in genere colpisce i potenti di Sicilia, concorso esterno in associazione mafiosa. Un reato che, per dirla in siciliano, «mascarìa», macchia sempre e comunque, perché pesante è l’accusa di collusione con i boss di Cosa nostra.
Strano contrappasso, quello che ha colpito Lombardo. Lui, che della «decuffarizzazione», intesa come smantellamento del sistema creato dall’ex governatore ed ex amico Totò Cuffaro, ha fatto il grido di battaglia, ora è nei guai per le stesse ragioni che nel 2008 hanno costretto Cuffaro a dimettersi. Proprio lui, che dell’antimafia ha fatto la bandiera del suo governo, lui che in giunta ha ben tre giudici, di cui due antimafiosi doc: Massimo Russo, ex pm della Dda di Palermo e Caterina Chinnici, la figlia del procuratore trucidato a Palermo nell’83. Tutto inutile. Lo dicono anche i boss, nelle intercettazioni allegate alle 3.000 pagine del rapporto del Ros che racconta i rapporti - presunti - tra Raffaele Lombardo (indagato insieme col fratello Angelo, deputato del Mpa, e con un deputato regionale dell’Udc) e il boss catanese Vincenzo Aiello, considerato dagli inquirenti il reggente della famiglia mafiosa catanese che fa capo a Nitto Santapaola. «Raffaele ha fatto una “minchiata” a fare questi magistrati assessori, perché questi, anche se lui è convinto che lo faranno, non potranno proteggerlo», diceva proprio Aiello, conversando con i suoi «picciotti». A chiamare in causa Lombardo anche il pentito catanese Maurizio Avola.
E infatti la «bomba» è arrivata, proprio mentre la Sicilia è in fibrillazione, con Lombardo che, eletto dal centrodestra, vira a sinistra in nome delle riforme. Persino la Procura la butta in politica, almeno per la fuga di notizie. «La propalazione sui giornali di notizie come quella pubblicata da Repubblica ha quasi sempre una matrice politica», ha dichiarato il procuratore capo della città etnea, Vincenzo D’Agata. E Lombardo, che nega e minaccia querele, si dice d’accordo: «Replico a questa pattumiera di notizie di oggi dicendo molto chiaramente che si tratta di notizie paradossali, la cui matrice, ne sono convinto anch’io, è politica». Ma di nemici politici, in due anni di governo, Lombardo non se ne è fatto mica pochi, anche in quella che un tempo era la sua maggioranza: mezzo Pdl, quello dei lealisti, buttato fuori dalla giunta; mezzo Pd, quello che non approva l’appoggio esterno che un altro pezzo del Pd sta dando a Lombardo; e poi l’Udc, il partito che il governatore ha cancellato da tutti i posti di potere.
Che accadrà ora? Per il momento, nulla. Lombardo, ieri, ha convocato a Catania tutti gli assessori, per una giunta a porte chiuse. Si ipotizzava un’auto-sospensione. Ma alla fine è arrivata la benedizione al prosieguo del suo governo. E dai due giudici antimafia: «Da magistrato e adesso da amministratore – ha detto l’assessore alla Sanità, Massimo Russo – sono abituato a guardare i fatti. E i fatti dicono che ci troviamo di fronte a una fuga di notizie relativa ad un rapporto di polizia giudiziaria sul quale la magistratura dovrà fare le opportune verifiche. Sapevamo che l’enorme sforzo di questo governo verso il rinnovamento sarebbe stato complicato e con Lombardo ne avevamo più volte parlato in precedenza. Scherzando ci eravamo detti che la grande scommessa era quella di fare le riforme e portare a casa la pelle, perché è chiaro a tutti che, specie in Sicilia, quando si incide su determinati interessi, si registrano forti reazioni». Stessa linea per la Chinnici, giudice anche lei, che in giunta si occupa di Funzione pubblica: «Essendo stata sempre garantista non posso non esserlo anche ora. Esprimo la mia solidarietà al presidente, invitandolo a proseguire, senza rallentamenti, il percorso di riforme avviato». Lombardo conferma: «Andiamo avanti con le riforme e il risanamento, ci affidiamo alla magistratura per tutelarci da falsità da pattumiera».
Dunque, non cambia nulla. A meno di nuovi scossoni giudiziari. Che potrebbero arrivare da Palermo.

La Procura del capoluogo siciliano ha fatto sapere che sta valutando se trasmettere ai colleghi catanesi gli atti dell’arresto dell’architetto Giuseppe Liga, considerato il nuovo capo della mafia palermitana. Liga, che era reggente siciliano del Movimento cristiano lavoratori, è stato fotografato mentre entrava alla Presidenza della Regione. E da alcune intercettazioni emerge che avrebbe sostenuto Lombardo alle Europee.

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