Si sono aperte ieri ufficialmente le trattative tra Fiat, ministero dellIndustria e sindacati sullavvenire degli stabilimenti italiani dellimpresa torinese. Le posizioni esposte dal nuovo presidente John Elkann e dallamministratore delegato Sergio Marchionne sono chiare: Torino punta a consolidare la produzione industriale in Italia, ma non a tutti i costi.
Si può arrivare tra qualche anno a costruire 6 milioni di automobili, ma solo se gli stabilimenti Fiat si attrezzeranno per lobiettivo. Si pensa di trasferire la produzione di unauto come la Fiat Panda a Pomigliano dArco, in Campania, ma solo se le rappresentanze sindacali si impegneranno a reggere lo sforzo produttivo necessario anche in termini di flessibilità del lavoro, cioè straordinari, estensione delle giornate lavorative, crescita della produttività. Marchionne, il quale ha usato il rapporto con i sindacati americani, a partire dalla mitica Uaw (lUnione di lavoratori del comparto automobilistico) per rilanciare Chrysler in modo brillante, sa che analoghi risultati si possono raggiungere anche in Italia, ma solo se il sindacato assumerà un atteggiamento costruttivo. Finora questo atteggiamento è stato in parte difficile anche per qualche arroganza di Marchionne, manager straordinario ma non privo di molta considerazione di se stesso.
Questa parziale arroganza è stata giustificata anche da un antico sistema di relazioni sindacali del Lingotto basato su uno scambio innanzitutto tra la Cgil, che otteneva politicamente condizioni utili alla Fiat, e l'impresa torinese che accettava situazioni diseconomiche, come quella di Termini Imerese, in Sicilia.
Tutto ciò, nei tempi più recenti, si basava su un solido accordo tra Guglielmo Epifani e Luca Cordero di Montezemolo, che a lungo ha cercato di impedire anche a Confindustria di darsi una linea moderna nella contrattazione. Questa situazione è finita. Montezemolo si dedicherà alle sue Ferrari, alle sue Frau o ai suoi treni veloci, ma non ha più peso nelle relazioni sindacali. Epifani sta per andarsene a casa. Marchionne è finalmente libero di proporre soluzioni realistiche su cui cercare unintesa. Le prime reazioni derivano anche dai toni bruschi usati dal Lingotto: persino la Uilm, sindacato tra i più collaborativi, ha richiamato a un confronto meno ultimativo.
Ma il clima di fondo è dato dalla volontà di trattare: si comprende come questo sia lultimo (ricco) treno che passa per i lavoratori dellautomobile italiani. La Fiom Cgil, gli ultimi mohicani dellestremismo sindacale, hanno lanciato alcuni allarmi: non cederemo ai ricatti, ha detto il segretario uscente Gianni Rinaldini. Comunque, aggiunge, siamo pronti a trattare. Il segretario provinciale torinese della Fiom, Giorgio Airaudo, sarà sostituito dopo i fallimenti degli ultimi anni. Sulle barricate resta un estremista a tutto tondo come Giorgio Cremaschi, della segreteria della Fiom e leader di una correntina ultrà nella Cgil.
Ma in realtà quello che segna la nuova fase è Raffaele Bonanni, segretario della Cisl, che ha detto come Marchionne quando parla di persone che hanno perso la testa, ce lha con quelli della Cgil non con tutte le organizzazioni sindacali. E ha spiegato come la gigantesca operazione di rilanciare la Fiat, dando anche un futuro industriale diverso a stabilimenti come quello di Termini Imerese, sarà resa possibile dalle caratteristiche della nuova contrattazione definita dallaccordo tra Confindustria, Cisl e Uil e altre numerose organizzazioni sociali, allinizio del 2009.
È su quellaccordo che si prevede lincentivazione della produttività e la compartecipazione tra impresa e sindacati nel gestire le crisi sociali che reggono le basi per fare unoperazione sul tipo di quella riuscita a Detroit che ha salvato unimpresa ormai a pezzi come Chrysler.
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