Vacanze e salute, come prevenire i rischi dell’epatite A

Vacanze e salute,  come prevenire  i rischi dell’epatite A

di Luigi Cucchi

D’estate, quando si è in viaggio, non sempre si presta attenzione all’alimentazione. I rischi sono alti. Molte le insidie. La trasmissione del virus dell’epatite A può avvenire per contatto diretto da persona a persona, tramite oggetti o mani contaminate e soprattutto attraverso l’ingestione di acqua e alimenti contaminati, specie verdure e molluschi poco cotti o consumati crudi. Acquisire l’infezione da epatite A per i viaggiatori all’estero è ben più facile di quanto si posso immaginare. Dipende dalle condizioni di vita, dalla durata del soggiorno, dall’incidenza della malattia nell’area visitata. I viaggiatori nel Nord America, eccetto il Messico, e nei Paesi dell’Europa, Giappone, Australia e Nuova Zelanda, non hanno un elevato rischio di infezione. Per quelli nei Paesi in via di sviluppo il rischio aumenta con la durata del viaggio ed è più elevato in coloro che vivono o visitano aree rurali, o mangiano o bevono frequentemente in situazioni di scarsa igiene. Nei viaggiatori che soggiornano in zone endemiche, la malattia è 40 volte più frequente rispetto alla febbre tifoide e 800 volte rispetto al colera.
Il virus dell’epatite A è inattivato dall’ebollizione o dalla cottura a 85°C per circa un minuto. Raccomandata un’adeguata clorazione dell’acqua. Nei Paesi in via di sviluppo i viaggiatori devono bere acqua solo sicura e non scegliere bevande con ghiaccio e mangiare frutti di mare e verdure crude. La gravità della malattia è direttamente proporzionale all’età del soggetto infetto. La contagiosità va da una-due settimane prima dell’insorgenza dei sintomi, fino a una settimana dopo la comparsa dell’ittero. Fortunatamente il fegato guarisce completamente, di solito nel giro di uno o due mesi, senza subire danni permanenti. L’epatite A dopo un periodo d’incubazione di 15-50 giorni (mediamente 30) manifesta bruscamente, febbre, malessere, nausea, inappetenza, vomito, dolore addominale, seguiti dopo pochi giorni da ittero; la malattia solitamente ha un’evoluzione benigna conferendo un’immunità permanente. I sintomi clinici generalmente non durano oltre due mesi, solo nel 10-15% dei casi si ha un decorso prolungato fino a sei. La complicanza più grave dell’epatite A, estremamente rara, è una grave insufficienza epatica che può mettere a serio rischio la sopravvivenza stessa del paziente.
Per l’epatite A la miglior cura è la prevenzione. Non è infatti disponibile una terapia specifica contro l’Hav, se non la precoce somministrazione di gammaglobuline standard (anticorpi) entro 7-14 giorni dal contagio. Di conseguenza, se i sintomi sono già comparsi, questa strada non è più percorribile e ci si limita a monitorare la progressione della malattia che, nella stragrande maggioranza dei casi, regredisce spontaneamente.
Alcuni alimenti come gli estratti di carciofo, il cardo mariano e la silimarina, forniscono un aiuto importante, grazie alla loro capacità di depurare il fegato dalle tossine e migliorarne la funzionalità. Il loro utilizzo in presenza di epatite A deve comunque avvenire sotto la supervisione medica.

Per l’epatite A è disponibile un vaccino costituito da virus inattivato che viene somministrato per via intramuscolare nel deltoide; determina una protezione già dopo 14-21 giorni dalla somministrazione di una singola dose.
Un richiamo somministrato dopo 6-12 mesi conferisce una protezione per oltre dieci anni.

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