RomaGelidi venti e veleni trasversali fendono il grigio palazzo che ospita la Procura della Repubblica barese. Lultimo spiffero, una lama tagliente, è lennesima fuga di notizie a orologeria. Oggetto, liscrizione nel registro degli indagati del presidente della giunta pugliese, Nichi Vendola, proprio mentre lesponente di Sinistra, ecologia e libertà punta i piedi e non rinuncia alle primarie che sceglieranno il candidato del Pd per la poltrona di governatore.
Stavolta il procuratore capo, Antonio Laudati, chiamato a un incarico rovente proprio per i suddetti veleni alla fine della scorsa estate, più che smentire le «voci» ha puntato il dito sulla fuga di notizie, dichiarando che si sta stringendo il cerchio intorno alla «talpa». Troppo permeabile il segreto istruttorio alla barese.
Di certo non sono mancate le polemiche sul coinvolgimento di Vendola nellinchiesta sulla sanità pugliese affidata al pm Desirée Digeronimo che ha portato alle dimissioni dellex assessore Alberto Tedesco, poi finito al Senato in quota Pd: lo stesso Governatore, ad agosto, aveva scritto una lettera al curaro diretta al pm, insinuando che la sua inchiesta era ormai uno «strumento di una campagna politica e mediatica che mira a colpire la mia persona pur non essendo io accusato di nulla», e ipotizzando sia un possibile e non meglio precisato «conflitto di interessi» che avrebbe dovuto consigliare la Digeronimo a farsi da parte, che lopportunità di togliere lindagine allAntimafia per passarla, per competenza, al pool di toghe baresi che si occupa di pubblica amministrazione.
Unargomentazione, questultima, cara anche a Michele Emiliano, sindaco di Bari e, a sua volta, ex magistrato di punta della procura del capoluogo. Emiliano salì allattenzione delle cronache con lindagine sulla «missione Arcobaleno» che imbarazzò Massimo DAlema. Poi linchiesta si stemperò e si spense, mentre lex pm, proprio con il centrosinistra, cominciò la sua ascesa politica.
E proprio i legami tra magistratura, classe politica e società civile della città sono la vera anomalia del «caso Bari». Relazioni pericolose, o quantomeno inopportune, che disegnano uno scenario di possibile inquinamento ambientale. Non solo le strane tempistiche che oggi colpiscono Vendola, non solo le guerre intestine alla procura che pochi mesi fa premevano per sottrarre lindagine alla Digeronimo. Anche laffaire DAddario che ha incendiato lintera estate nasce da una serie di curiose coincidenze. A cominciare dallannuncio - firmato DAlema - sulla «scossa» che attendeva il governo, pochi giorni prima che il racconto della escort barese sulle sue notti col premier a Palazzo Grazioli finisse sul Corriere della Sera, oscurando per un bel po il filone principale dellindagine del pm Pino Scelsi, quello sul presunto «sistema Tarantini» (che coinvolge invece diversi esponenti del centrosinistra). Come DAlema seppe non è dato sapere. Ma non sfuggì a molti una curiosa catena di coincidenze e rapporti: il legame damicizia che lega Scelsi - che delle sue simpatie politiche non ha mai fatto mistero - allavvocato della DAddario, Maria Pia Vigilante. Gli ottimi rapporti tra questultima e un altro ex magistrato poi passato alla politica, quellAlberto Maritati che a metà anni 90 indagò DAlema per finanziamento illecito e poi ne chiese e ottenne il proscioglimento, e cinque anni dopo era sottosegretario al Viminale nel governo di Baffino, al quale è ancora considerato vicino.
Ma i rischi endemici di una procura «calda» piazzata in una città di provincia non si fermano qui. Ci sono le due gip che si sono dovute astenere dai fascicoli su Tarantini perché frequentavano il giovane «re delle protesi», o le inchieste sul Comune di Bari che procedono a passo di lumaca. Fascicoli delle toghe baresi che lambiscono da vicino il sindaco-ex collega, e che coinvolgono stretti collaboratori del primo cittadino.
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