Caro Granzotto, lei che è un saggio, sa dirmi quandè che si diventa grandi? Ho sentito oggi una annunciatrice del Tg1 che, a proposito del disgraziato turista francese morto in un incidente, lo definiva «ragazzo»... e aveva 40 anni! Ora, non dico di fare come quel padre deglinizi del Novecento, che, nel libro di Onorato Fava, Francolino, dice al figlio di 15 anni: «Ora tu sei un uomo!» e il figlio ne è molto compiaciuto perché non vedeva lora! Ma se si seguita così, finirà che quando uno morirà a 70 si anni si dirà: «Poveretto... è morto giovane!». Mi pare proprio un ulteriore modo per deresponsabilizzare i giovani, mentre i vecchi saranno contenti di non essere mai invecchiati! Un caro saluto,
Fiesole
Oggi la gioventù è un genere che si porta molto, gentile amica. Oggi il «largo ai giovani» è un imperativo assoluto, è un Valore maiuscolo, vuoi condivisibile e vuoi non negoziabile. Di più: la gioventù non è più la naturale e transitoria condizione dogni essere vivente: è un diritto umano senza scadenze. E anche una occupazione: ci sono molti giovani che di professione fanno, appunto, i giovani. Cioè niente. Aspettano. Che la pera cada dallalbero. Che il futuro (altra parolina magica, il futuro) si presenti con calma, a tempo debito, con delle adeguate prospettive. Posto fisso, sicuro, di prestigio, ben retribuito e che non comporti soverchio impegno. Stando ai dati del Censis, oggi come oggi due milioni e mezzo di giovani non studiano e non lavorano. Stanno a casa, da mammà. Perché la scuola uffa che noia non serve a niente e perché sto benedetto futuro non elargisce loro, cito, «il lavoro giusto». E di chi è la colpa? La colpa è dei non-giovani che se il loro, di futuro, hanno saputo prepararlo e costruirselo, sembrano alquanto restii a farlo per conto terzi. Non per cattiva volontà, io credo, ma proprio perché manca la manualistica, le istruzioni per luso essendo il futuro, sempre lui, una faccenda impossibile da servire cotta e mangiata, chiavi in mano. Ma vaglielo a spiegare, ai giovani. Il Francolino di Onorato Fava che lei ricorda, gentile lettrice, capì appena quindicenne (un «giovinetto») come andava il mondo, e della prospettiva ne fu entusiasta. I Francolini doggi se la tirano da «giovinetti» fino ai quaranta e passa e a diventar uomini, che per loro equivale a diventar vecchi, non gli passa manco pe a capa.
Vecchi, poi... come lei osserva, gentile amica, difficile stabilire dove finisce la gioventù e principia la vecchiaia. Una volta si andava sul sicuro essendo le età disciplinatamente suddivise in infantia, pueritia, adolescentia, iuventus, gravitas e senectute. Oggi di sicuro cè poco o niente. Se non che indipendentemente dallanagrafe le donne si dicono tra loro ragazze, i maschi non ne parliamo e il giovanilismo, senile succedaneo della giovinezza, è il tratto dominante della società. Io non mi vergogno daver molto vissuto, ma a sentire i giovani dovrei. Perché laverlo fatto e dunque ritrovarmi vecchio, pare sia diventata una colpa, comunque un ripugnante peccato. Bah.
Paolo Granzotto
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