«Massimo, mi hanno avvisato che in città sta piovendo, è in arrivo un forte temporale... teniamoci pronti». «Ma cosa vuoi che me ne frega, stai zitto, restiamo concentrati...». La voce è quella del quarto uomo croato Ivan Bebek, la colorita risposta - epurata pure di qualche imprecazione - è invece dellarbitro svizzero Massimo Busacca: la curiosa conversazione avviene durante la partita tra Svezia e Grecia dei recenti campionati Europei di calcio.
Inizia così «Kill the referee», il film documentario dedicato al mondo degli arbitri che sarà trasmesso domenica alle 21 sul canale Premium Calcio di Mediaset. Il titolo del film («Uccidi larbitro»), diretto dal regista belga Yves Hinat, fa riferimento al caso dellinglese Howard Webb, minacciato di morte dopo aver concesso un rigore contro la Polonia nei minuti finali di un incontro degli Europei del 2008. Lo stesso primo ministro polacco Donald Tusk aveva rivolto parole di fuoco al direttore di gara: «Sarei stato pronto a uccidere - aveva detto ai giornali - per quello che è successo in campo». Nel documentario cè dunque la preoccupazione di Webb, ma anche quella del padre, che freme per le decisioni arbitrali del figlio come se stesse per segnare una rete. E poi cè lespressione persa nel vuoto del guardalinee inglese Darren Cann che negli spogliatoi durante lintervallo di Austria-Polonia proprio non riesce a capacitarsi di aver assegnato una rete in evidente fuorigioco.
Una sorta di «grande fratello» degli arbitri che racconta la vita delle terne arbitrali, prima e dopo le partite: durante il viaggio verso lo stadio si può vedere come Rosetti chiacchieri con i suoi assistenti di macchine del caffè per cercare di stemperare la tensione della gara. Non mancano nemmeno i rituali scaramantici: segni della croce, baci, abbracci, ma anche speciali «investiture» fatte con la bandierina a mò di cavalieri della tavola rotonda.
Un lato molto umano degli arbitri, che finora nessuno aveva ancora messo in mostra. Come i calciatori, anche i fischietti e i loro assistenti sono messi duramente sotto pressione, il fischio finale è una sorta di liberazione, la tensione e la paura per una segnalazione sbagliata sono trasmesse anche alle mogli che si riuniscono insieme per assistere alle prestazioni dei mariti.
Per fortuna, alla fine ci pensa Busacca a spiegare come stanno le cose: «Come tutti gli esseri umani anchio posso fare errori: non sono Dio». Speriamo lo capiscano anche certi tifosi.
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