Vignali: «L’Unione rivuole lo statalismo»

Il presidente di Compagnia delle Opere: «Ridimensionare o abolire la legge 30 significa tornare al collocamento pubblico»

Stefano Filippi

Raffaello Vignali, presidente della Compagnia delle Opere, il vostro documento elettorale invita apertamente a votare centrodestra. Non avevate mai preso una posizione così netta.
«Vero».
E stavolta, paradossalmente, nelle liste del centrodestra compaiono meno candidati riferibili all’area Cdo, o no?
«Ma noi mica chiediamo posti. È cambiato un sistema elettorale, prima si potevano scegliere le persone e adesso no, quindi per forza di cose bisogna guardare i partiti, gli schieramenti e le loro proposte».
Siete gli ultimi idealisti...
«La nostra è assolutamente una battaglia di tipo culturale. Noi registriamo che nel centrosinistra prevalgono i contenuti delle correnti radicali e massimaliste, mentre le posizioni dei riformisti sono molto schiacciate. La confusione su temi di fondo come la vita, la famiglia, la scuola, conferma questa tendenza. Uno Stato che pretenda di definire i diritti delle persone mina alla base la democrazia».
Prodi ha ribattuto che l’Unione è piena di cattolici.
«Nessuno pretende di averne l’esclusiva, però siamo cattolici anche noi. E la Dottrina sociale della Chiesa ci porta a preferire una politica improntata alla sussidiarietà piuttosto che allo Stato come Dio. Nei momenti di difficoltà si preferisce affidarsi allo Stato piuttosto che ascoltare chi invita alla responsabilità personale, come ha ricordato Berlusconi ai confindustriali».
Torna lo slogan «più società meno Stato»?
«Prendiamo la legge Biagi, una delle cose migliori fatte dal governo Berlusconi. Il ridimensionamento se non l’abolizione della riforma proposto dal centrosinistra rilancia lo statalismo più rigido. Il ritorno al collocamento pubblico fatto in regioni come le Marche significa privilegiare un’ideologia statalista rispetto al bene delle persone che cercano lavoro, perché con il collocamento pubblico in Italia il posto non lo ha trovato mai nessuno. Anche il Papa ieri ha chiesto di fare di tutto perché chiunque abbia un lavoro e di qualità. Noi ci impegniamo e chiediamo che lo Stato lo riconosca».
Vi siete schierati, ma non avete taciuto critiche al governo in carica.
«Noi siamo noi stessi, continuiamo a dire quello che secondo noi va bene e no. Molte cose si potevano fare meglio e prima. Poco tempo fa abbiamo difese le coop rosse più noi di Fassino, e le abbiamo difese per lo stesso motivo per cui oggi diciamo di votare centrodestra: difendere la possibilità che chi ha un ideale possa costruire, fare impresa e anche occuparsi di finanza. Ci schieriamo anche per dare una sponda culturale a chi nel centrosinistra vuole sussidiarietà e non statalismo».
I prodiani vi hanno accusato di opportunismo.
«Forse si stavano guardando allo specchio, visto che i sondaggi danno in vantaggio il centrosinistra. Gli opportunisti oggi fanno altre scelte. Aggiungo però che la nostra speranza non è la politica, la pretesa che sia la politica a dare la felicità, come ha detto Prodi in tv».
La vostra assemblea nazionale di sabato che cosa ha aggiunto al documento?
«L’assemblea non era un raduno elettorale. Abbiamo sentito testimonianze di imprenditori che innovano e stanno sui mercati, di realtà non profit che valorizzano i talenti anche dei malati di mente, di aziende del Sud che senza lamentarsi della mafia o dell’assenza dello Stato hanno costruito 15mila posti di lavoro. Poi abbiamo indicato le linee del nostro lavoro».
E quali sono?
«Che queste esperienze possano esistere e crescere attraverso una rete tra imprese. Non bisogna fondere le aziende ma aiutare la politica dei distretti, favorire la collaborazione. Siamo il Paese con il più alto tasso di imprenditori: è una ricchezza straordinaria che bisognerebbe valorizzare, non lamentarsi per il nanismo e il familismo come è scritto nella prima pagina del programma economico di Prodi. Noi abbiamo presentato fatti. E i fatti dicono che l’Italia c’è e ha la sua partita da giocare».
Non è curioso che contemporaneamente a voi Confindustria abbia preferito denunciare il declino del Paese?
«Tutti oggi cercano di capire come mantenere il livello di benessere cui siamo arrivati; nessuno però dice da dove viene lo sviluppo. L’ha spiegato sabato don Julián Carrón: l’origine è la creatività della persona che nasce quando l’uomo incontra un ideale che lo rende libero e capace di costruire. Per questo abbiamo messo come tema centrale l’educazione. Sabato ho citato l’esempio del parroco di Robbiano, in Brianza, che negli anni ’50 chiamò alcuni dipendenti dell’unica fabbrica di mobili, li invitò a mettersi in proprio, li aiutò ad avere credito e organizzò per loro una prima mostra-mercato: un’esperienza da cui sono nate diverse aziende che ancora oggi competono sui mercati internazionali.

Il segreto del miracolo italiano, dice lo storico Carlo Cipolla, è stata la capacità di produrre all’ombra dei campanili cose utili che piacciono al mondo. Sotto i campanili si scopre che l’altro non è il nemico da abbattere, ma quello con cui collaborare per competere».

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