Cronache

Vinum scopre le Cinque Terre

È la volta delle Cinque Terre. Monterosso, Vernazza, Corniglia, Riomaggiore e Manarola, le perle incastonate fra i dirupi del Levante ligure, tornano in scena con colori e sapori. Sulle piccole terrazze oltre a un paesaggio senza paragoni si respira fatica, sudore ma anche immenso amore per il territorio. Ebbene, proprio su questi dirupi, fra ripidi vigneti che si tuffano nel mare, un gruppo di indomiti coltivatori da sempre riesce a vendemmiare un vino dalle sensazioni e dai colori esclusivi. Non è certo una scoperta leggere sulla rivista Vinum in edicola in questi giorni nella rubrica «Una gita fuori porta» un poetico itinerario che abbraccia questo territorio e la sua enogastronomia.
È importante e gratificante per quei (pochi) vignaioli che, sfidando i capricci del tempo e i disagi di proprietà quasi sempre frazionate, sapere che anche sulle riviste specializzate si riapre un discorso, mai chiuso, sulla doc Cinque Terre e sullo Sciacchetrà sua massima espressione. Piacerebbe di più forse, visto che si parla di gite fuoriporta, che il discorso si sviluppasse non solo citando un solo personaggio del vino e un sono enotecario, seppure importanti, e 6 fra ristoranti, trattorie e alberghi di cui uno per nababbi. Le Cinque Terre sono vive grazie anche ad altri piccoli ma instancabili lavoratori che si arrampicano sulle fasce e di altri piccoli ma suggestivi posti di ristoro. Ma, come si dice, sempre si può imparare e scoprire nuove squarci di realtà. Ecco quindi che, grazie al bimestrale Vinum sull’angolo più bello di Liguria, il lettore-turista riesce a conoscere e capire una zona, tra le più sofferte, amate e invidiate della penisola.
Ma proprio le Cinque Terre tornano in scena per una nuova idea promossa da numerosi enti fra i quali la Coldiretti. A Riomaggiore è prevista la nascita di una nuova iniziativa per salvare i vitigni in via di estinzione. Si tratta di un esperimento che, proprio in quanto tale, non è privo di polemiche. Il voler recuperare i vitigni autoctoni è sicuramente una cosa giusta e santa ma il voler salvare il patrimonio ampelografico dell’intero bacino Mediterraneo sembra alquanto spropositato. Spropositato per la costrizione su un terroir che non è il loro, per un ammassamento di qualità spesso diverse con problemi e interventi diversi e, infine, per investimenti. Insomma le Cinque Terre, più che un vivaio-museo danno l’impressione di diventare una specie di centro di rianimazione.
Ci si chiede: perché invece di investire capitali e fatiche su due ettari di vigneto di rianimazione, non si possa aiutare in maniera più concreta a sviluppare quello che è un patrimonio importante della viticoltura levantina: quel Cinqueterre Sciacchetrà che oggi raggiunge appena i 154,34 ettolitri? Si accenna a un messaggio turistico indotto creato dalla nuova iniziativa. Già immaginiamo le moltitudini di visitatori che andranno a conoscere personalmente le varie barbatelle mediterranee.

Non sarebbe meglio che certi sforzi puntassero di più a un attenta promozione e produzione del Cinqueterre doc? Si vede che le zone del Chianti, del Barolo, del Brunello turisticamente non hanno proprio insegnato nulla.

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