Al Parlamercato gli affari vanno a gofie vele, ma non certo da ieri, piuttosto dal maggio 2008, quando si è aperta la stagione venatoria: tutti a caccia del posto migliore.
Il Parlamento, senza che ce ne accorgessimo (la regola è che i cambi fanno impressione solo se imputabili all’ars seduttoria del Cav), è stato teatrino di una grande gara ippica, con abbondanti salti da sinistra al centro, dal centro a destra, da sinistra e destra al misto e viceversa. Un incredibile via vai, un valzer perdurante e indefesso che ha portato nel giro di due anni a 78 cambi di casacca complessivi, solo alla Camera, alla faccia dell’«impegno con gli elettori» e della coerenza, frase fatta inevitabile ad ogni intervento in aula ma poi tragicamente assente nel comportamento di molti parlamentari. Il bello è che la mobilità estrema di deputati si accompagna ad una fervida creatività, per cui non solo si trasmigra come niente fosse da un partito all’altro, ma si creano gruppi e partitelli parlamentari mai votati da nessuno. C’è l’Api di Rutelli, non pervenuto alle urne. Ci sono i Liberaldemocratici, cioè gli ex diniani per capirci, quelli della Melchiorre (una primatista del cambio), anche loro vergini di consultazione elettorale. Ci sono quelli di Noi Sud, un composto chimico di Mpa e Pd, uniti ai Liberali (il plurale è eufemistico) rappresentati dal solo Paolo Guzzanti, ex Pdl. Così pure, tra gli altri partiti Ogm, creati nella provetta parlamentare, ci mettiamo i Repubblicani, Azionisti e Alleanza di centro, con deputati pervenuti da Pdl (Nucara e La Malfa) e Udc (Pionati). Tra questi partiti-non partiti, cioè eletti ma mai eletti per davvero, ci sta naturalmente anche Fli, tutti ex Pdl. E sono loro (la bellezza di 35 tutti insieme) a dare il colpo di grazia alla classifica del Pdl in tema di trasmigrazioni parlamentari, facendolo schizzare al primo posto come partito più «abbandonato» tra tutti. Una mappa dettagliata di tutti i cambi dal 2008 a oggi l’hanno fatta quelli di Democrazia e legalità (con una grafica che rende bene la confusione di idee imperante tra gli eletti) e poi anche Velina rossa, che ha fatto un calcolo preciso. Il Pdl ha iniziato la legislatura con 275 parlamentari, oggi ne ha 236; il Pd partiva da 217, oggi è a quota 205. L’Udc ne ha eletti 35 e oggi ne conta 36, ma perché tra i centristi non sia successo niente, anzi, è vero il contrario. È che i saldo tra quelli arrivati (dal Pd e dal Pdl) e quelli fuggiti (il gruppo dei siciliani di Romano, ora nel misto, e poi altri) è solo casualmente favorevole a Casini. L’Idv invece si è presentata a Montecitorio con 29 deputati e ne ha persi per strada 5 (oggi ne ha 24), ma a nessuno è venuto in mente di passare con Tonino. Meglio di tutti la Lega, che ha iniziato con 60 e ne ha mollato solo uno (in realtà mai accettato nel gruppo, come sostituto di Cota). Il colpaccio, è evidente, lo hanno fatto gli altri, dall’Api al Fli, da LibDem a NoiSud. Partiti con zero deputati, ora se ne trovano dagli otto ai tre a testa. Miracoli dell’ingegneria parlamentare. In fondo non serve cambiare la legge elettorale per eliminare gli effetti del maggioritario, i partitini (e i loro leaderini) hanno già aggirato il problema: si autocostituiscono dopo il voto. Di fatto, tra strappetti e rotturine, il numero dei gruppi a Montecitorio è praticamente raddoppiato in due anni, da sette (Pdl, Pd, Lega, Udc, Idv, Mpa, Misto) a tredici.
Da segnalare alcuni professionisti in questa disciplina, capaci di cambiare partito due volte in due anni.
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