Voltresi grandi bevitori di vino: una scoperta del tempo dei Dogi

Nel 1594 censiti i guadagni delle osterie: ogni capo famiglia ne consumava un litro e mezzo al giorno

Voltresi grandi bevitori di vino: una scoperta del tempo dei Dogi

Anno 1594, mese di marzo, il Doge Antonio Grimaldi Cebà riceve il Consiglio degli Anziani. Gli si fa presente che le casse dell'Erario sono asciutte o quasi. Doge: «Tutto ciò si verifica perché non si può controllare bene tutto il territorio con la perizia dovuta. Prendiamo ad esempio le taverne sparse per tutto il territorio del Capitaneato di Voltri: nessuno sa dirmi se fanno cose (affari) o meno, quante esse sono, quanto versano o meglio, quanto non versano! Datevi da fare seriamente, eppoi datemi un quadro della situazione, contattate il Magnifico Oratio Lomellini, Capitano di Voltri». Si prende l'incarico di farlo Andrea Canale che manda una lettera al Capitano invitandolo a procedere in merito. Il Lomellini però, frena, non si muove; tende a perdere tempo in modo che scada il suo mandato per passare la grana al suo successore. Le difficoltà sono recarsi a Cogoleto via mare, penetrare nell'entroterra a Mele e ai confini con Masone, raggiungere la riva del Polcevera. Seconda lettera: «Magnifico, se non farete quello che chiediamo, prenderemo provvedimenti contro di voi!». Il capitano decide di agire e presenta dieci nominativi di tavernieri visitati. Canale risponde: «Capisco che non sia facile per voi, a corto di personale all'altezza del compito, impossibilitato a muovervi fuori di Palazzo, ma il numero presentato non ci soddisfa e quasi tutti fanno poche cose per cui, non guadagnano a sufficienza per pagare i balzelli... si metta da parte, lasci fare a noi... vi faremo sapere».
Ed ecco i messi della Serenissima, scortati da due armati corsi, arrivare a Cogoleto via mare, salire a Teralba, Mele, Colombara, Prién, Fegino, Trasta, Panigaro, Morzio (Multedo), Serto (Sestri). Un lavoro meticoloso ma proficuo; tornano al Ducale e presentano un elenco di tassati di una settantina di «hosti» e tavernieri i quali accettano un balzello medio di 3 lire mentre, Lazzaro Collo alla Colombara (Cornigliano) ne pagherà ben 20 (Fa cose e ha 10 letti), Luca Zenoggio (fa cose e fa da mangiare) ne pagherà 10 come anche Batta Bertano e Bastiano Mazzone. Il capitano Lomellini alla vista dell'elenco si dichiara sorpreso e si sente dire dai Procuratori: «Magnifico Capitano si sono tassati i Tavarnieri nelle somme che di sotto uderete per un anno cominciato al 15 d'ottobre passato, da pagare in fin dell'anno questo eglielo farete intendere, acciò sappino quel che haranno da fare, con dar'avviso. Lo tenga come ordine se n'ol farete, pagherete di vostro pugno, che fanno Lire duecento-sessantatre. Da Genova li XXII di novembre 1594» Andrea. Oratio non ce la fece a passare il bastone di staffetta al nuovo Capitano, Stefano Castagna, subentratogli nel 1595 e dovette portare a termine l'ordine dei Procuratori della Repubblica.
Passiamo alla matematica. I voltresi erano beoni? Verifichiamolo. Gli abitanti di tutto il Capitaneato di Voltri sono 7.708. Essendo 77 circa le taverne censite, escludendo donne e bambini, risultano 25 capi-famiglia per ogni osteria i quali se ne «ciucciano» una quindicina di damigiane al mese, più di un litro al giorno caduno. L'approvvigionamento del vino avveniva attraverso uffici annonari. Il vino ordinario era assicurato alla popolazione con prodotti della Corsica e della Riviera ma, arrivava anche dalla Provenza e dalla Spagna; più ne arrivava e più se ne beveva tanto che, le navi che arrivavano nei pressi di Voltri, rallentavano la spinta velica, gettavano le botti a mare e proseguivano subito per non perdere tempo. Le botti raggiungevano la riva da sole per il moto delle onde e per il principio di Archimede. Il Bargello (magistrato) le registrava sulla spiaggia e le destinava per tutto il Capitaneato. Maggiore era il consumo, minore era il costo del trasporto e quindi del vino cosicché, dal 1594 al 1602 troviamo il voltrese a bere un litro e mezzo di vino al giorno... e allora, forza con le «ciucche»! Queste erano all'ordine del giorno, specie in Quaresima quando con la scusa religiosa del «digiuno», si mangiava appositamente per bere di più: musciame (filetto secco di delfino), sgombri sotto aceto, acciughe salate, merluzzo secco, aringhe e anguille affumicate. Il giorno dei «morti» i tavernieri offrivano un gran piatto di stoccafisso bollito contornato da fave secche bollite (bacilletti); il cliente pagava solo il vino; era un'altra occasione per arrivare a casa ebbri con la scusa religiosa. La scarsa produzione del Capitaneato verteva sul «bianco» come il Coronata.

I ricchi fino a quel tempo preferivano il «dolce», come: Vernaccia, Tokaj ungharo, Bordolese, Crimea, Capo d'Africa, Reno ma, subito dopo, all'inizio del '600, gradivano anche il «secco» da bere con i pasticcini e le torte. Dopo questa disquisizione sul vino, alla domanda se gli abitanti di questo Capitaneato fossero dei beoni, possiamo rispondere decisamente con un si.

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