Cronache

Voltri, in un modellino risorge Villa Gropallo distrutta nel ’70

Voltri, in un modellino risorge  Villa Gropallo distrutta nel ’70

Chi andrà all'oratorio di S.Ambrogio, a Voltri, durante le feste di Natale, potrà, nell'ambito della mostra concorso dei presepi, fare un tuffo nella Voltri del 1700. Grazie a un plastico realizzato da un gruppo di giovani locali laureandi in ingegneria. In questo mirabile lavoro, fra i tanti palazzi che persistono ancora oggi, spicca sulla collina detta «Chiappa» (per la sua forma tondeggiante che richiama la nota parte anatomica) un palazzo gentilizio noto come «Gropallo».
Oggi questo magnifico palazzo non esiste più perché demolito nel 1972 per consentire il passaggio del raddoppio dell'autostrada Genova-Savona. In quei lontani tristi giorni di demolizione, fra coloro che cantavano la notissima canzone genovese, «Piccun daghe cianin», vi era anche l'ex partigiano «Nibbio», al secolo Lorenzo Acquilino, che in quel palazzo abitava da 18 anni. Passati altri 30 anni, nel 2002, Lorenzo mi invita a casa sua in via D.G.Verità che, più di una casa sembra un museo con quadri d'autore alle pareti, sculture moderne e antiche, libri rarissimi negli scaffali. Un trenino viaggia da una stanza all'altra, si ferma in stazione, carica i viaggiatori e le merci, poi fischia e riparte; rallenta su un lungo ponte poi riprende la corsa, si alzano i passaggi a livello, entra in un tunnel e ne fuoriesce vittorioso passando davanti ad una vetrina dove le armi che contiene sono vere, sono quelle dei vent’anni di «Nibbio». Gli chiedo perché mi ha convocato. «Vedi questi due rubinetti di piombo? Ebbene sono di epoca romana, hanno il conico di tenuta perché la vite filettata non esisteva ancora; li trovai scavando nel giardino del palazzo Gropallo. Tagliando corto: voglio ricostruire la Chiappa come era prima della speculazione edilizia. La voglio costruire in scala 1/87 in quanto le mappe catastali sono in questa scala, lo vedi?». Subito pensai che scherzasse, poi gli credetti. Uscii chiedendogli se costruisse anche la dependence con la torre, mi rispose «è ovvio». La dependence, chiamata la «Torretta», con tutta la servitù era un laboratorio gastronomico, ivi si preparavano i dolci a base di ricotta, i gelati, i rosoli, i digestivi, le creme.
La villa che si ergeva di fronte a quella dei Brignole Sale, separata da essa dal torrente Leira, era stata costruita dai potentissimi Durazzo con le intenzioni di abitarvi per il comodo di trovarsi a due passi dai loro possedimenti terrieri, cartari, tessili, commerciali. Nel 1848 i Durazzo la cedettero ai Gropallo, altra ben nota, potente, nobile famiglia genovese. I Gropallo a fine Ottocento la vendono al cavalier Andrea Piccardo che ne mantiene lo splendore fino alla sua morte quando, passata ai suoi eredi, viene suddivisa e ristrutturata. L'intera ala di ponente, ad esempio, passa alla signora Canepa vedova Lanata che se ne serve per la villeggiatura nei mesi caldi. Dopo l'8 settembre 1943 l'intero stabile viene sequestrato dai militari tedeschi che vi si acquartierano. Finita la guerra, i Piccardo ristrutturano suddividendo in appartamenti che affittano a diverse famiglie. Gli Acquilino abitarono alla «Torretta» dal 1938 al 1954, anno che passarono al Palazzo padronale per restarvi fino al 1972.
Mi ero dimenticato delle intenzioni di Lorenzo e del suo «fare» in quanto scettico sulla riuscita del suo certosino tentativo.
All'inizio dell'estate del 2007, all'improvviso, Lorenzo mi telefona dicendo di aver terminato il modello della Chiappa. Vado a casa sua e resto senza parole, stupefatto dalla apparizione improvvisa. Non manca niente, nemmeno il pergolato con i pilastri di cemento, quello che da bambini assalivamo per rubare l'uva; esiste vasca e fontana, le due palme, le siepi, i fiori. Col vero un rapporto audace, netto, senza umiltà. Una vera magnificenza, dove l'amore nostalgico, l'insistenza sul dettaglio, la tolleranza zero sulle dimensioni, tutto porta a credere all'utopia della perfezione. Le diverse pietre dei muri, il verde e l'azzurro, il rosa e il grigio, si attraggono e si respingono in proporzione ritmica dai toni candidi: «Un do di petto» dipinto. Travolti da quel pallore solare, sfilano sparsi i personaggi mignon nei loro costumi tradizionali, ognuno a fare la propria parte nella magistrale rappresentazione. Guardo fisso e incredulo Lorenzo, e mi chiedo dove è che finisce l'artigiano e dove comincia l'artista. Mi chiedo ancora perché Voltri non abbia un museo che racchiuda tutte queste opere dell'ingegno. Mi complimento con lui e gli chiedo quale prossima fatica affronterà in futuro. Risposta: «...sono passato da avanguardista col fucile finto scolpito nel legno a partigiano col mitra vero nel far di due anni circa...nel 1940 ho assistito e lavorato alla costruzione del rifugio che serpenteggia sotto questa collina, una vera opera d'arte della quale ho salvato i disegni costruttivi, eccoli...penso di riuscirci...vedi in questa zona, non visti, non sentiti, sotto i piedi dei tedeschi, io e lo spericolato Bertin ci esercitavamo al tiro a segno». Ci riuscirà di certo, coraggio e capacità non gli fanno difetto, non ci possono essere dubbi...

sarà un altro documento storico utilissimo.

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