Voti bassi e bocciature: l’anno nero della scuola

Prove più difficili: votazioni finali in media inferiori di un punto rispetto al 2006

Scuola, indietro tutta. Professori, intellettuali, ministri e perfino genitori cominciano a mostrare una certa nostalgia per il passato. C’è in giro il desiderio di docenti un po’ più severi e autorevoli, di voti conquistati con un po’ di fatica, di madri e padri meno arroganti, di meno bulli e più secchioni. C’è il sogno di una scuola bella, nella quale i professori sono rispettati, gli studenti non fanno autogestioni e i bidelli fanno i bidelli. Tutto questo, per ora, è solo un sogno, ma un primo segnale di cambio di rotta c’è. La maturità di quest’anno: il 2007 potrebbe essere ricordato come «l’anno nero» dei maturandi. In alcuni istituti si stanno ancora svolgendo le ultime prove orali, ma le stime parlano di un 6,9% di ragazzi che non ha superato lo scoglio, sommando quelli non ammessi ai bocciati. Un giro di vite con una novità che spicca, come evidenzia un’indagine di Tuttoscuola: numeri da record per i non ammessi, ben il 4,4% tra interni ed esterni. Secondo Tuttoscuola non è stato solo il ritorno alle commissioni miste (metà commissari interni e metà esterni) a render più difficile l'esame. Decisivo, invece, il ripristino del giudizio di ammissione.
Guardando, poi, alla votazione finale, in media un punto inferiore rispetto ai dati del 2006, a dare bastonate sono state la difficoltà di alcune seconde prove e la terza prova, preparata dai commissari. Sulla seconda prova per lo scientifico, sono stati gli stessi professori di matematica a lamentarsi.
E poi ad avvelenare le vacanze degli studenti delle superiori potrebbe tornare l'incubo peggiore: un’estate in clausura, sudando sui libri e sognando ogni notte il famigerato esame a settembre. Qualche giorno fa Giuseppe Fioroni, ministro dell’Istruzione, ha fatto capire che forse il sistema dei debiti e dei crediti non funziona. Meglio tornare al vecchio esame di riparazione. Lì dove i brutti voti si pagano subito. Niente conti in rosso ma estati rovinate dallo studio. Il ripescaggio del vecchio sistema, spauracchio di decine di generazioni, sarebbe dovuto al fallimento del meccanismo dei debiti formativi e dei corsi per il recupero delle materie fatti a scuola. Pochi, infatti, i fondi destinati a questa attività dagli istituti, secondo un monitoraggio dello stesso ministero, e bassa la loro propensione a organizzare, durante l’anno, le lezioni pomeridiane in cui i ragazzi colmano le lacune bollate da voti insufficienti. L'ipotesi di un ritorno al passato è emersa durante un incontro con i sindacati sulle misure per l’istruzione contenute del Dpef.
Un’ipotesi che non ha, però, fatto gridare allo scandalo. Il mondo della scuola sembra d’accordo sulla necessità di superare l’attuale modello organizzativo, anche se, a detta di molti, l’«ancien régime» non è certo la panacea. Fu l’allora ministro D’Onofrio, più di un decennio fa, a cancellare l’esame di riparazione, introducendo i corsi di recupero. Nel ’96, la rivoluzione fu completata con i debiti formativi. «Un sistema farraginoso - commenta Giorgio Rembado, presidente dell'Associazione nazionale dei dirigenti e delle alte professionalità, il più grande sindacato dei presidi -. Non funziona e incentiva comportamenti elusivi rispetto alla serietà e alla stessa etica civile alla base del messaggio educativo degli studi. Bisogna uscirne, superando uno strumento che non ha dato i risultati attesi». Un colpo di spugna, forse, sui corsi di recupero. Ma il semplice ritorno all’esame vecchio stile potrebbe, comunque, non bastare. «È assurdo ripristinare strumenti obsoleti in un contesto scolastico completamente mutato - sottolinea l’onorevole di Forza Italia Valentina Aprea, bocciando l’ipotesi di Fioroni -.

Non è certo la riparazione a settembre a mancare nella scuola italiana. Bisogna, invece, creare nuovi modelli flessibili che diano fiducia ai ragazzi, pur sempre in un contesto di rigore e sbarramenti seri per verificare una reale preparazione».

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