Walter teme un «trappolone» Il suo sogno resta Palazzo Chigi

da Roma

Nel tuo giorno più lungo ti ritrovi a usare le parole più corte: 12 ore inseguito dai giornalisti, impegnato a trattenere il fiato, a cucire monosillabi e sorrisi, entra ed esci dal Campidoglio come fosse un fortino assediato. Ti hanno chiesto se vuoi fare il leader del Partito democratico ma all’ora di pranzo devi parlare di asili; il the lo bevi a Palazzo Chigi con l’uomo di cui dovresti prendere il posto; la sera ti ritrovi a discutere di cinema davanti a un mito come Ennio Morricone e a un attore come Willem Dafoe (un estimatore del sindaco) nemmeno fosse un film: Una giornata particolare di Walter Veltroni.
Da ieri, dopo la proposta ufficiale di Piero Fassino, il capannello dei giornalisti lo tallona ovunque: «Sindaco, dica una parola!». E lui, sorrisone: «Vi voglio bene». E loro: «Almeno una!». E lui «Ehhhh...». Un cronista riesce a strappargli una perifrasi: «Aspetteremo molto?». Veltroni, prima di sparire ancora (stavolta al Botteghino) grida: «No!». Ovvero: non aspetterete a lungo la risposta.
Il motivo di tanta prudenza? Ieri in Campidoglio l’entusiasmo per il riconoscimento che l’incoronazione di Fassino comporta, era pari solo ai dubbi su futuro e difficoltà delle scelte. Dicono che Veltroni non può non accettare. Ma se accetta, come evitare il «dualismo» con Prodi? E quali garanzie avrà che non si voterà con questa legge elettorale (lo considera un suicidio). Infatti, al Teatro Quirino, pochi giorni fa, Veltroni aveva parlato un’ora davanti a Prodi e ai basisti ulivisti, chiedendo una sola cosa: «Una legge che permetta di governare, magari sul modello di quella comunale». Ma che maggioranza la vota?
Uno che i Ds li conosce, Claudio Velardi, ieri si informava sulle sue reazioni: «Non dice ancora sì? Fa bene! Questa è una fregatura di Fassino e D’Alema». Come, come? Sorriso, sospiro: «Un minuto dopo che accetta, Roma finisce di essere la città dei sogni, e per due anni diventa un poligono di tiro in cui anche se scoppia un tombino l’Ulivo va in crisi». Secondo? «Veltroni deve fare il leader di tutti, gli serve più tempo per sganciarsi dal vecchio Ulivo. Così, invece, ogni sua parola sul governo viene sparata come una polemica pazzesca. Oppure il contrario, e questo lo porta a fondo. A Veltroni - conclude Velardi - conviene si faccia un altro segretario, che lo tornino a cercare per candidarlo fra un anno». Pausa, precisazione: «Piero e Massimo non lo vogliono fregare... che si sporchi le mani. Eppure un sì non sarebbe un bene né per loro né per il Pd».
Pensa il contrario Goffredo Bettini, amico e stratega, che gli dice: «Walter, o prendi questo treno, o mai più». Di certo il passo di Fassino certifica la debolezza di Prodi. Ieri in Campidoglio c’era anche un durissimo Ciriaco De Mita: «Veltroni? È una delle ipotesi. Ma qualunque sia la scelta, va cambiato governo. Prodi è un in-ca-pa-ce!». In conferenza stampa con l’assessore alle Politiche educative Walter aveva dribblato le domande: «Parlo solo di temi attinenti alla scolarizzazione primaria. Sapete che siamo passati da 8mila a 17mila asili?». Di sera presentando La magnifica illusione (bibbia per cinefili compilata da Antonio Monda per la Fazi) gli scappa un sorriso: «Mi scuso per il ritardo, ma penso che oggi mi capirete...».

Poi, per un’ora, parla senza freni (ma di cinema): «Ho visto un documentario pazzesco, The big question, in cui sul set di Passion, si facevano solo domande su Dio. Lì il gioco del cinema è esploso in tutta la sua meravigliosa grandezza: non si capiva più cosa fosse vero e cosa falso, chi parlasse per sé, e chi recitando». Più o meno come nell’Ulivo, ieri.

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