Il welfare soffia sul fuoco del rancore e delle pretese Solo il liberalismo integra

Nel secolo delle rivoluzioni atlantiche, che ha visto il trionfo del costituzionalismo e della democrazia (1688-1789), allo sconvolgimento economico, indotto dalla rivoluzione industriale, e a quello politico, demolitore degli assolutismi in Inghilterra e poi in Francia, non si accompagnò una rimessa in questione dei valori ereditati dalle civiltà greco-romana e cristiana. I coloni americani si batterono per affermare i diritti storici dei sudditi di Sua Maestà Britannica e gli stessi giacobini avevano in mente modelli sociali piccolo-borghesi (casa, lavoro, famiglia). Quando si associa il pluralismo al liberalismo classico, non si dovrebbe dimenticare che si trattava di un pluralismo all’interno di un orizzonte di valori profondamente sentiti e condivisi. La tolleranza religiosa, ad esempio, nasceva dal fatto che, al di là del nome dato all’Essere Supremo, al di là dei riti e dei dogmi, i credenti si riconoscevano tutti nella morale del Decalogo già prefigurata, del resto, negli spiriti magni del mondo antico, da Socrate a Seneca.
In politica, il reciproco riconoscimento delle parti in lotta, faticosamente raggiunto, rinviava a una opinione pubblica divisa non sui valori ma sulla loro gerarchia e sulle modalità della loro realizzazione: la trimurti dell’89 - libertà, eguaglianza, fraternità - li ricomprendeva tutti anche se il dissenso su strategie e priorità poteva portare alla guerra civile.
Col multiculturalismo, le cose cambiano radicalmente. Qui non ci troviamo più dinanzi alla diversità fisiologica che si manifesta all’interno di un grande «continente spirituale» ma dinanzi a codici alternativi che portano a riguardare come espressioni della «tribù occidentale» conquiste civili che sembravano fatte in nome dell’intero genere umano.
Gran parte del pensiero liberal, invece, fa del multiculturalismo una sorta di variante etno-culturale del pluralismo, in virtù di un’ispirazione «buonista» suicida. Se il pluralismo di ieri, infatti, portava al conflitto sociale - garante, per Machiavelli e Montesquieu, della libertà politica nella Roma repubblicana - il multiculturalismo di oggi rischia di scatenare un vero e proprio «conflitto di civiltà», esasperato dall’avvento del Welfare e dei «diritti sociali». Paradossalmente solo lo Stato liberale (per sua natura pluralista ma non multiculturalista) potrebbe reggere alla sfida ma esso, per i liberal, è divenuto una formazione storica da relegare ormai in soffitta.
Eppure in uno Stato che si limitasse a imporre l’ordine pubblico e le regole del gioco, lasciando alla società civile piena libertà di organizzarsi e di vivere come vuole, non ci sarebbero problemi. Musulmani, induisti, ebrei, cristiani vivrebbero nelle rispettive nicchie, coi loro templi, con le loro feste, con le loro scuole, con le loro particolari occupazioni lavorative. I governi dovrebbero limitarsi a far rispettare, anche al loro interno, certe norme generalissime - i diritti della persona umana, l’eguaglianza dei sessi - e a prevenire ogni tentativo di invadere gli spazi dei vicini.
Con lo Stato sociale, però, tutto cambia: la «libertà negativa» del vecchio liberalismo (il non impedimento) cede il posto alla «libertà positiva» di una politica che intende provvedere al benessere e all’istruzione di tutti i cittadini. Questo significa che se il cristiano ha la sua chiesa, il musulmano deve venir aiutato a costruirsi la sua moschea e a istituire le sue scuole.
Sta qui il dilemma delle democrazie contemporanee: si può chiedere ai cittadini di porre mano ai loro portafogli per sostenere comunità che si richiamano a valori ritenuti lontani e incompatibili con quelli ereditati dalla propria tradizione? Se il sacrificio che siamo tenuti a fare per il prossimo è alto, non se ne debbono poter condividere, sostanzialmente, ideali e aspirazioni? Nel passato, persino un conservatore, poteva approvare programmi sociali a beneficio delle classi meno abbienti giacché, in fondo, la socialità aveva un qualche rapporto con l’etica feudale.
Oggi che la «comunità dei valori» è tramontata, qualora non bastasse più la libertà, per i membri delle tribù non occidentali, di seguire le loro leggi e i loro costumi e si volesse fornire ad essi anche le risorse necessarie per vivere un’esistenza non diversa da quella dei paesi di origine, a quali riserve ideali si potrebbe attingere, che non siano la retorica umanitaria e le dichiarazioni universali dei diritti, per imporre la solidarietà multiculturale?
Lo Stato liberale classico, che si tiene discretamente in disparte dalla società civile, potrebbe sempre dire: «Volete la moschea? Pagatevela!»; ma lo Stato sociale si trova in un vicolo cieco.

Esso pretende di impegnarci a favore di gruppi coi quali, una volta che abbiamo garantito loro le nostre «libertà civili», non desideriamo avere relazioni e di azzerare il rapporto naturale tra «generosità» e «simpatia», per cui la disponibilità ad aiutare gli altri è tanto più elevata quanto più essi ci sono culturalmente vicini.

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