YOUSSOU N’ DOUR «La contaminazione viene dall’anima»

Il poliedrico artista, stasera all’Alcatraz per l’unica tappa italiana del tour, presenta l’ultimo lavoro «Rokku mi Rokka»

Qualcuno definisce il suo stile afro-pop, ma il cantante percussionista Youssou N’Dour è molto di più. È un artista che senza perdere d’occhio le radici culturali africane cerca di diffonderle, trascinarle in giro per il mondo e mischiarle con i suoni del mondo. Lo fa partendo dalla tradizione dei griot (gli antichi cantastorie nonni dei bluesmen) arrivando fino al nuovo album Rokku mi Rokka (ovvero «dare e ricevere») dai sapori antichi e al tempo stesso dai profumi contemporanei, che presenta stasera all’Alcatraz nel suo unico concerto italiano. «La mia ricerca musicale ha sempre due punti di riferimento ben precisi - racconta Youssou N’Dour - da un lato il recupero delle radici africane del blues e dall’altro la trasposizione di queste radici nel mondo contemporaneo».
Una ricerca complessa.
«Sì, perché i suoni devono essere molto ben equilibrati, mantenere vive le melodie e i ritmi ancestrali che abbiano però un senso nel quotidiano».
Quali sono gli elementi che collegano ancora oggi l’Africa al blues afroamericano?
«Sono pochi perché lasciando l’Africa da schiavi i nostri antenati hanno perso le loro abitudini, i loro costumi e quindi anche la musica. In loro è sopravvissuto il senso del ritmo e una malinconia dello spirito che ha segnato le strade del blues in America».
Oggi la musica etnica o world music va molto di moda anche nelle sue forme più commerciali.
«La musica etnica commerciale è frutto della globalizzazione, di chi pensa di ricavare soldi da canzoni di poco contenuto. Io cerco di far conoscere la vera Africa, anche attraverso gli incontri con musicisti rock».
Lei ha collaborato con tante star, da Peter Gabriel a Sting, da Lou Reed a Paul Simon: cosa avete in comune?
«La sensibilità e l’amore per la gente senza distinzione di colore o di razza. Peter Gabriel e Sting sono stati pionieri nelle contaminazioni di generi fatte con l’anima, da artisti ma anche da studiosi. Sting e Lou Reed invece hanno un approccio più culturale alla multietnicità».
Tra i suoi meriti c’è quello di aver rinnovato e fatto conoscere il ritmo ’m balax.
«È un ritmo popolarissimo, e anche un linguaggio tipico dei Wolofi, ma soprattutto una forma importante di musica popolare. C’è il ’m balax tradizionale e oggi l ’m balax urbano, ossia moderno, che si può definire parente dell’hip hop».
Lei è sempre molto impegnato: la musica aiuta il sociale?
«Le canzoni servono ad attrarre l’attenzione della gente. Se piacciono i miei brani, dal mio piccolo posto posso aiutare Amnesty International la gente che soffre in Senegal o nel Darfur».


Com’è la situazione in Senegal?
«L’economia ora funziona, ma c’è tanta fame, perciò stiamo lottando per il microcredito».
Per beneficenza ha anche inciso una versione di Imagine.
«Un brano semplice ma universale: Lennon è stato un ambasciatore della pace e sono felice di averlo cantato».

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