Zambetti si difende: «Vogliono il mio posto»

(...) su bianco: c’è chi vuole colpirmi, tentando di denigrarmi come persona e come politico». Virgolettato che non spiega però qual è la calunnia? «È la stessa del 2004, quando fui vittima di missive anonime spedite a me, ai miei familiari e ai vertici della Regione Lombardia. Allora come oggi ricevetti dai colleghi istituzionali e dagli amici personali e politici una vagonata di solidarietà».
Difficile per Zambetti rivelare qual è l’accusa che circola. E, allora, eccola: droga. Sostantivo pesante e velenoso per chi è uomo pubblico e di governo e che fa letteralmente imbufalire Zambetti. «Non so neanche che sia una canna, figuriamoci la droga. Ue’, non scherziamo: io sono un padre di famiglia, un uomo di chiesa e non un pervertito. Chi sparge quest’insinuazione è un malato, uno psicolabile che ricorre allo sciacallaggio per altri motivi».
Va giù duro l’assessore. Sa che le parole sono pietre ma, stavolta, non le pesa e dagli archivi estrae fotocopie del 2004. «Alla vigilia della campagna elettorale presentai una denuncia alla Guardia di Finanza. Querela contro i soliti “ignoti“. Quelli che mi avevano indirizzato alcune cartoline. Che c’era scritto? Altre infamità». Leggiamole: «Siamo in due e ti aspettiamo stasera con la polvere...». Commento di Zambetti: «Sono un galantuomo, un meridionale d’altri tempi. Certo, non sono un santo. Ma drogarmi mai nella mia vita e ho cinquantasei anni alle spalle». Come dire: «Amo la vita e mai ma proprio mai mi metterei a maneggiare sostanze stupefacenti».
Dunque, Zambetti è vittima di «una macchinazione». Ma il movente? «Nel 2004 c’erano le elezioni e un attacco alla mia persona poteva danneggiare me e la coalizione. Adesso? Ditemelo voi». I cronisti che si trovano al 22 di via Giangiacomo Mora nella sede della Dc osano pensare che «la poltrona dell’assessorato all’Artigianato sia d’oro». «Esagerazione. Certo, fa gola a qualcuno che non avendo motivo di attacco alla mia azione politica è costretto quindi a ricorrere alla falsità già sparsa qualche anno prima».
Una sporca, lurida storia di cui «nella consapevolezza della mia estraneità» e «nella coscienza pulita» resta «neppure un’ombra» sul «mio lavoro al Pirellone». Ma avverte l’assessore Zambetti resta anche «l’amarezza» e tanta: «Per qualcuno che senza il coraggio di firmarsi colpisca quel che è lo spirito di un uomo libero: la sua dignità. Dignità che - come scrisse Aristotele - non consiste nel possedere onori ma nella coscienza di meritarli».
Non c’è altro da aggiungere se non che il politico Zambetti ribadisce di non aver alcuna intenzione di dimettersi dalla carica di assessore all’Artigianato della Lombardia. Anzi, «la solidarietà che ho ricevuto in questi giorni da tutti i livelli della Regione mi fa credere che possiamo guardare avanti tranquilli». E con un’avvertenza: «Io che non neppure cosa sia una “canna”. Io che inorridisco quando leggo sui giornali di certe perversioni. Io che non sono belzebù ma uomo che ama vivere il suo tempo con passioni lecite e legali. Io, Domenico Zambetti, non ci sto più a subire in silenzio lo sciacallaggio».

Che non può «essere mai opera dei giornalisti, incolpevoli», chiosa l’assessore, ma frutto di chi «si muove nell’ombra senza avere la schiena dritta e senza avere un’idea nel cervello. Chi ? Gentaglia, miserabili, pezzenti e ...non so». Urge un vocabolario.

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