Economia

In Usa dieselgate senza fine: anche Gm finisce nella bufera

Nel mirino 705.000 pick-up. Il titolo ai minimi in Borsa I due nemici Barra e Marchionne hanno gli stessi guai

Pierluigi Bonora

C'è un nuovo colpo di scena nel dieselgate americano. Nell'occhio del ciclone sembra essere finita anche General Motors. Come Fca, su cui è stata avviata una causa civile, anche il gruppo guidato da Mary Barra è entrato nel mirino del Dipartimento di giustizia per possibili violazioni nei test sulle emissioni. La vicenda, già imbarazzante, lo è ancora di più visto che la ceo Barra fa parte del team di consiglieri sui problemi economici e occupazionali che opera al fianco del presidente degli Usa, Donald Trump.

Per una volta, a questo punto, i due mancati sposi, Fca (ben disposta alle nozze) e Gm (sempre riluttante) sono accomunati dallo stesso problema, anche se i veicoli sotto accusa che fanno capo al colosso di Detroit sono molti di più rispetto a quelli del Lingotto: circa 705.000, tutti pick-up Duramax diesel presi in leasing.

Secondo Bloomberg, sarebbe stato un gruppo di consumatori ad avviare una causa collettiva contro Gm, accusata di aver installato sui pick-up sistemi capaci di «truccare» in modo favorevole i test sulle emissioni. Non è al momento chiaro a quanto ammontano i danni richiesti. È la class action, di gran moda negli Usa e sempre supportata da studi legali che su queste azioni ci campano e si fanno pubblicità, che ora rappresenta più di uno spauracchio per Fca. Per il momento, nella vicenda di Gm, non sarebbero coinvolte le agenzie federali. Tutto il carteggio è nelle mani dei giudici di Chicago. Si parla di emissioni anche 5 volte superiori rispetto ai limiti previsti dalla legge. Il titolo Gm, che già non ha riscosso benefici dalle operazioni di «pulizia» avviate dalla ceo Barra (cessione di Opel e uscita dall'Europa, via dal Sud Africa e prossimo stop delle vendite in India), ieri ha subito i primi contraccolpi: le azioni hanno infatti toccato il minimo (31,92 dollari) da 6 anni a questa parte. Ad andarci di mezzo, inoltre, è l'immagine dell'auto made in Usa, soprattutto in relazione agli attacchi fatti dagli stessi yankee alla tedesca Volkswagen, una volta esploso il dieselgate.

Sergio Marchionne e Mary Barra, quindi, potrebbero trovarsi «a braccetto» a difendere i rispettivi gruppi davanti al Dipartimento di giustizia Usa. E magari, paradossalmente grazie al dieselgate, potranno farsi una chiacchierata davanti a due tazzine di caffè. Operazione più volte tentata e mai riuscita all'ad di Fca.

A Maranello, intanto, dove ieri sono stati inaugurati i nuovi spazi del Museo Ferrari, Marchionne (nel ruolo di presidente e ad del Cavallino rampante) ha precisato di «non essere andato a cena da Trump (durante la sua visita in Italia, ndr)». «Ero via - ha aggiunto -; non sono stato invitato, ha da fare. I rapporti con il presidente sono buoni».

Sviluppi, infine, sul dieselgate Volkswagen. Il Tribunale di Venezia ha ammesso la class action di Altroconsumo contro il gruppo tedesco. Sono 650mila le auto coinvolte in Italia, a fronte di 8 milioni in Europa. Attualmente i pre-aderenti all'azione risarcitoria sono circa 30mila.

«Davide batte Golia», scrive nella sua nota Altroconsumo.

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