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Dl Sicurezza, l'armata buonista tira dritto. E scoppia la guerra tra sindaci

La rivolta della sinistra al decreto Sicurezza spacca le città. Palermo e Firenze tirano dritte. Udine, Cascina e Trieste sono con Salvini

Dl Sicurezza, l'armata buonista tira dritto. E scoppia la guerra tra sindaci

L'Italia si divide e i sindaci si schierano. La guerra tra primi cittadini infiamma il dibattito politico con il decreto sicurezza sullo sfondo. Motivo del contendere, le norme volute da Salvini, approvate dal Consiglio dei ministri, votate dal Parlamento e promulgate dal presidente della Repubblica.

Il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, dopo aver sospeso l'applicazione del dl, ha incassato l'appoggio di altre amministrazioni di sinistra. Dario Nardella, Luigi De Magistris, Nicola Zingaretti, Mimmo Luicano e i sindaci di Pescara, Fiumicino e Reggio Calabria si sono detti "vicini" alla disobbedienza (in)civile di Orlando. Il caso ha scatenato clamore mediatico in giorni poveri di notizie e sul carro sono saliti pure Federico Pizzarotti (Parma) e Beppe Sala ("Salvini riveda il decreto sicurezza"), mentre Di Maio l'ha bollata come "campagna elettorale" e il ministro dell'Interno è stato costretto a ricordare loro che una legge promulgata da Mattarella non può essere disattesa. "È gravissimo - ha detto - ne risponderanno penalmente, legalmente e civilmente". Chiaro.

Anche diversi costituzionalisti, ben lungi dall'essere "leghisti", hanno bocciato l'armata buonista con la fascia Tricolore. "I Comuni sono tenuti a uniformarsi alle leggi", fa notare il presidente emerito della Corte Costituzionale, Cesare Mirabelli. Gli fa eco Giovanni Maria Flick: "Non spetta al sindaco decidere di sospendere l'applicazione di una legge se la ritiene incostituzionale".

Orlando, però, non sembra disposto a fare passi indietro. "Non arretro, non c'è motivo di arretrare, io ho assunto una posizione che non è né di protesta, né di disubbidienza, né di obiezione di coscienza", rivendica. E per contrastare quello che definisce "un attentato alla sicurezza del nostro Paese" è pronto a sottoporre il provvedimento "all'esame di una autorità giudiziaria". Solo attraverso un giudice ordinario o amministrativo, infatti, il dl potrà finire di fronte alla Corte Costituzionale e eventualmente essere dichiarato incostituzionale. La strada è lunga e lastricata di ostacoli, intanto però il sasso è stato lanciato e la guerra santa a Salvini iniziata: "Non faremo niente di illegale - giura Nardella, che valuta il ricorso - però abbiamo già pronta un'azione per sterilizzare in ogni modo gli effetti nefasti di questo decreto".

Come ogni conflitto che si rispetti, a ogni azione ostile corrisponde una reazione. Al fianco del Viminale si sono subito schierati i sindaci di centrodestra. Ha messo l'elmetto il primo cittadino di Trieste, Roberto Dipiazza, che definisce "preoccupante" il fatto che "un rappresentante delle Istituzioni (Orlando, ndr) voglia uscire dal sistema democratico". Si dichiara "sorpresa" dai "colleghi" pure Susanna Ceccardi (Cascina), che punzecchia il capo-rivolta palermitano. E si schierano a favore del dl anche Sara Casanova (Lodi), Roberto Di Stefano (Sesto San Giovanni), Francesco Rucco (Vicenza) e Pietro Fontanini, il sindaco di Udine, città che "garantirà piena applicazione al decreto Sicurezza". "Con il decreto Salvini abbiamo finalmente strumenti in più per mantenere la sicurezza dei nostri cittadini - dice il primo cittadino di Arona, Alberto Gusmeroli - Qui abbiamo applicato numerosi Daspo di allontanamento, tra cui quello per un questuante che veniva a chiedere l'elemosina prima in Mercedes e poi con auto nuova fiammante".

Il conflitto è aperto.

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