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Non usate quella strage per santificare le toghe

Che c'entra il discredito gettato sulle toghe con il massacro in tribunale?

Non usate quella strage per santificare le toghe

Sergio Mattarella da qualche mese ormai è capo dello Stato, e in questo periodo avevamo imparato ad apprezzarlo perché, a differenza del suo predecessore, non parlava: apriva bocca soltanto per dire buongiorno e buonasera alle persone che incontrava. Un comportamento lodevole. D'altronde, si sa che il silenzio è d'oro, e l'oro piace a tutti, specialmente a noi che viviamo nel frastuono e siamo costretti per lavoro ad ascoltare e riportare numerose sciocchezze pronunciate dai politici.

Nell'orgia di dichiarazioni che ci piovevano (e ci piovono) sulla scrivania, raramente ci imbattevamo in sproloqui del signor presidente. Di qui la nostra simpatia se non ammirazione per lui. Giovedì scorso con rammarico ci siamo ricreduti. Mattarella ha parlato e ci ha talmente deluso da insinuare il sospetto che, avendo rotto il silenzio, d'ora in poi ci romperà anche le scatole con un'incessante sequela di dichiarazioni petulanti, per non dire di peggio.

Infatti, commentando la strage compiuta da un pazzo scatenato nel Palazzo di giustizia milanese (tre morti e due feriti), Mattarella si è lasciato andare a considerazioni che non stanno né in cielo né in terra, riassunte così dal Corriere della Sera : «Basta discredito sui magistrati».

Attenzione. Siamo d'accordo col presidente che costoro non debbano essere gratuitamente offesi, cosa che invece avviene abbastanza frequentemente. Ma il punto è un altro: che c'entra il discredito gettato sulle toghe con il massacro in tribunale? È noto che tra le vittime c'è un giudice, ma è altrettanto noto che all'altro mondo sono finiti pure un giovane avvocato e un tizio imputato al pari dell'assassino.

Le osservazioni del capo dello Stato avrebbero avuto pertinenza qualora i tre uomini freddati fossero stati tutti magistrati, nel qual caso sarebbe stato logico pensare a un attacco all'ordine giudiziario. Mentre il fatto che siano morti anche un avvocato (che era lì in veste di testimone, fra l'altro) e un cittadino estraneo all'attività forense dimostra platealmente come l'omicida non abbia agito in odio alla giustizia e a chi l'amministra, bensì perché al momento di premere il grilletto aveva qualche filo staccato nel cervello. Su questo non vi sono dubbi.

Mattarella, se proprio voleva dare una spiegazione surreale alla carneficina, avrebbe dovuto prendersela non solo con chi scredita i magistrati, ma anche con chi diffama i legali e i soci in affari. Il che sarebbe stato ridicolo ma non discriminatorio nei confronti di due categorie degne di rispetto quanto quella citata dal Quirinale.

In sostanza il presidente ha commesso un errore. Forse spinto dal desiderio di manifestare solidarietà nei confronti dei giudici, ultimamente al centro di polemiche, ha colto l'occasione dell'eccidio per fare udire la propria voce in loro difesa. Probabilmente si è pure dimenticato che spesso i magistrati si screditano da soli: la recente lite fra Edmondo Bruti Liberati e Alfredo Robledo, scoppiata proprio nella Procura di Milano, ne è la prova.

Chiunque può sbagliare, anche Mattarella, al quale però sarebbe stato sufficiente mordersi la lingua per fare bella figura.

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