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"Basta tour mondiali, voglio suonare in pace"

L'ex chitarrista dei Dire Straits torna con il disco "One Deep River": "In queste canzoni scorre la mia vita"

"Basta tour mondiali, voglio suonare in pace"

Allora Mark Knopfler, è appena uscito il nuovo album One Deep River, quando torna sul palco?

«Niente tour».

Ma come niente concerti dal vivo dopo decenni di concerti?

«Starò a casa con mia moglie e con la famiglia e registrerò altre canzoni in studio di registrazione, ma niente show».

Per sempre?

«Non lo so».

Però da come lo dice, Mark Knopfler ha proprio finito la voglia di fare tournèe mondiali, di aerei, di attese, di orari impossibili. A quasi 75 anni e 46 anni dopo il primo disco con la splendida Sultans of swing, si accontenterà (si fa per dire) di essere uno dei chitarristi più riconoscibili (suona senza plettro) e uno degli artisti più riservati di sempre (lo chiamano «l'uomo tranquillo del rock»). È un annuncio simbolico perché, insomma, Mark Knopfler e i Dire Straits sono un'icona degli anni '80 e, tanto per dire, ancora adesso le produzioni di Mtv iniziano con qualche secondo di Money for nothing. Ora registrerà altri album e magari comporrà qualche colonna sonora bella come quella di Sesso e potere, film del 1998 con Dustin Hoffman e Robert De Niro. Ma difficilmente ripartirà sul gigantesco carrozzone che vaga per tutti i continenti. Lo dice tranquillo dal suo studio di registrazione in West London parlando delle nuove canzoni (per il Record Store Day del 20 aprile uscirà l'Ep The boy con 4 inediti), ricordando le avventure da esordiente e sottolineando ciò che è sotto gli occhi di tutti: «Le carriere musicali diventano sempre più corte, durano due anni».

La sua va avanti da cinquant'anni.

«Mi sembrano cento».

Ora farà altro. Ad esempio una serie in sei parti sulla musica per Sky Arte con Brian Johnson degli Ac/Dc.

«È venuto da me per un altro programma e così abbiamo deciso di continuare anche con questo. E ci siamo divertiti».

A molti piace, o conviene, riformare le proprio band...

«Io di sicuro non riformerò i Dire Straits, mi è piaciuto esserne parte e sono felice di ciò che sono stati. Ma non sono più interessato a fare la gara su chi è più grande dell'altro».

Il suo nuovo disco si intitola One Deep River, un fiume profondo. Autobiografico?

«Anche. Ma è soprattutto un modo generale per descrivere una persona. Mi piace che le canzoni siano flessibili e si possano adattare a diverse interpretazioni. In ogni caso quel titolo non è molto lontano da ciò che sono. Sa, non si può mai smettere di cercare il nuovo, ma molto del mio modo di scrivere canzoni è legato alla memoria».

A proposito, cosa ricorda di quand'era giornalista?

«Quel lavoro mi ha aperto la visuale, prima non capivo niente del mondo, è stato un corso accelerato di vita. Lo sa che c'è un brano del disco che ricorda quel tempo? Black tie jobs (letteralmente lavori con la cravatta nera - ndr). Ti metti la cravatta nera quando vai a un funerale a salutare i parenti di chi non c'è più. Ecco nelle vecchie redazioni, forse anche in quelle moderne, bisognava sempre tenere una cravatta nera nel caso si dovesse andare a fotografare o intervistare qualcuno a un funerale».

Quale intervista ricorda?

«Quando mi mandarono a Leeds a intervistare gli Ugly Sisters per la Christmas Pantomime del Natale 1969, le Ugly sisters erano in realtà due vecchi attori maschi».

Poi ha anche insegnato. Professore di inglese.

«Non mi aiutò come ispirazione ma a pagare le bollette, avere un auto sulla strada e un amplificatore. Insegnare mi ha salvato la vita in questo senso».

Mark Knopfler è considerato uno dei chitarristi migliori di sempre.

«Ultimamente il mio stile è peggiorato. Amo la chitarra per scrivere ma non voglio essere un virtuoso, non ho mai voluto diventare come Jimmy Page o Ritchie Blackmore. Magari suono come un idraulico e il mio insegnante non approva (ride - ndr) ma ogni nota che suono è al servizio delle canzoni. Le canzoni sono come bambini, devi dar loro il massimo per avere una vita quando lasciano la casa. Insomma sono tutte canzoni dell'arrivederci (ride - ndr).

Oggi la chitarra è suonata sempre meno dai giovani, a parte i Maneskin.

«Chi? Che nome è? Non li conosco. Andrò ad ascoltarli».

Fanno rock.

«A me va bene anche se, per suonare, una nuova band usa il detersivo per piatti. Non credo ci dovrebbe essere una legge che detti le regole, una norma che dica attenzione, se suoni blue grass devi usare banjo e mandolino. Non amo le limitazioni».

Il terzo brano del disco si intitola Smart money, soldi facili. Prima cantava Money for nothing, soldi in cambio di nulla.

«I soldi facili sono quelli che ti promette lo scommettitore. In realtà è una critica alla discografia e all'industria dello spettacolo che lascia i giovani artisti nelle grinfie di predatori che li consumano. C'è qualcosa di triste nell'essere consumati così».

Ma non è sempre successo?

«Sì i Beatles registrarono il primo disco con un centesimo in tasca. All'inizio è come entrare nelle fossa dei leoni, ma non hai un esercito, hai solo una chitarra».

E oggi?

«Ci sono migliaia di autori che provano a vivere di musica e non riescono. C'è Internet ma è difficile riuscire a fare un concerto».

Nel 2025 saranno 40 anni da Brothers in arms, uno dei dischi più venduti di sempre.

«Era il momento in cui si diffondevano i cd e la nostra etichetta Phonogram, voleva distribuirli ovunque. Così i negozi erano pieni di Brothers in arms.

Diciamo che abbiamo preso 3 pullman contemporaneamente (un modo di dire con modestia che sono stati fortunati - ndr)».

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