Cultura e Spettacoli

Dopo 120 anni rispunta una statua attribuita a Michelangelo

La storia dell’arte è spesso un giallo, è uno dei suoi aspetti più divertenti: documenti che spuntano negli archivi e cambiano certezze secolari. Opere che riemergono e ritrovano nuovi o vecchi nomi. Adesso alla ribalta è una intrigante statua, l’Arrotino Lanfranchi, un tempo attribuita a Michelangelo. Esposta in Svezia in occasione della mostra And there was light. The masters of the Renaissance (E luce fu. I maestri del Rinascimento) insieme a opere di artisti del Rinascimento, come Leonardo, Raffaello, lo stesso Buonarroti, sta suscitando un certo scalpore tra gli studiosi, come sottolinea la stampa svedese. Si tratta davvero di Michelangelo?
La statua, esposta al pubblico per la prima volta dopo 120 anni all’Eriksbergshallen di Goteberg, ha una lunga storia. Costruita in pietra della golfolina, proveniente dalle antiche cave che si trovano sull’Arno, sotto la Villa Medicea di Artimino, nel comune di Carmignano, nel passato era ricordata a Pisa come «fatta dalli scalpelli di Michel’Angelo». E le antiche attribuzioni non sono mai da sottovalutare, tanto più che il grande artista bazzicava continuamente i territori tra Pisa, Lucca, le Apuane. Si tratta di una versione cinquecentesca della scultura in marmo dell’Arrotino, copia romana del I secolo a.C. da un originale ellenistico conservato agli Uffizi, come spiega Alessandro Vezzosi, uno dei curatori della mostra di Goteborg. Sappiamo che Michelangelo aveva iniziato proprio studiando e copiando statue antiche (e continuerà a fare simili «contraffazioni», ricercatissime, per tutta la vita).
La scultura, menzionata nel 1751 da Pandolfo Titi a Palazzo Lanfranchi di Pisa, da cui il soprannome, nel 1878 era passata a Francesco Masi come «opera di scuola o fattura di Michelangelo»: trasferita poi in una villa di Capannoli, divenne di proprietà Gotti-Lega. Fu allora che il soprintendente Nello Tarchiani suggerì il nome di Giovanni Angelo Montorsoli o di Baccio da Montelupo. Comincia così la ridda delle attribuzioni: a metà anni Settecento, quando l’opera era ormai dispersa, il critico d’arte Alessandro Parronchi la scovò nel mercato antiquario romano, proponendo come autori Giambologna o Pietro Tacca.
Dopo vari giri la statua capitò in Inghilterra e di lì ora nella mostra svedese. Che ne pensano i critici oggi? Flavia Zisa, docente di archeologia nell’Università Korè di Enna, autrice della scheda relativa alla scultura in mostra, riprende l’attribuzione tradizionale a «scuola o fattura di Michelangelo», cioè la ritiene opera del maestro o dei suoi seguaci. I motivi? La mancanza del naso o di due dita della mano destra che poteva essere un espediente per conferire all’opera un aspetto più antico. Poi, lo stile, tipico del Buonarroti, con le sue particolari forme anatomiche e l’apparato decorativo simile a quello della figura di Lorenzo nelle cappelle Medicee a Firenze. Anche Vezzosi sembra propenso ad accettare le antiche attribuzioni, sottolineando che lo studio della statua porterà a nuove «significative scoperte». Vedremo.


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