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Le 16 parole che smontano il complotto


Mario Sechi

da Roma

Sedici parole, una guerra, un carteggio falso e un polverone. Il Niger-gate sul quale si esercita l’immaginazione degli amanti della letteratura spionistica in fondo è tutto qui. Le sedici parole sono quelle pronunciate da George W. Bush nel discorso sullo Stato dell’Unione del 28 gennaio 2003: «The British government has learned that Saddam Hussein recently sought significant quantities of uranium from Africa» («Il governo britannico ha saputo che Saddam Hussein recentemente tentava di procurarsi una notevole quantità di uranio dall’Africa»).
Aveva ragione Bush a inserire nel suo discorso quella famigerata frase che è all’origine dell’altrettanto famigerato Niger-gate? La tesi che Bush abbia fatto quel passaggio sull’uranio sulla base delle lettere false smistate a Roma dal free lance dello spionaggio Rocco Martino (pagato dagli 007 francesi) è suggestiva, ma deve reggere alla prova dei fatti. E allora facciamo appunto un check dei fatti - non delle opinioni o peggio delle elucubrazioni - per consegnare ai lettori una reale ricostruzione di questa storia.
Su cosa si basava il discorso di Bush?
1. Dopo 16 mesi di investigazioni su un report del 2002 dei servizi segreti di Sua Maestà, che indica i tentativi di Saddam Hussein di procurarsi l’uranio dal Niger, una commissione speciale del Parlamento inglese, guidata da Lord Butler di Rockwell, il 14 luglio 2004 arriva a queste conclusioni: «È accettato da tutti che ufficiali iracheni nel 1999 visitarono il Niger». Secondo il rapporto Butler «il governo inglese aveva varie indicazioni provenienti da fonti di intelligence che indicavano che la visita aveva come finalità l’acquisto di uranio». Sulla base di questa evidenza, la conclusione del rapporto britannico è la seguente: «Il discorso del Presidente Bush sullo Stato dell’Unione del 28 gennaio 2003» nel punto in cui cita l’uranio, Saddam e l’Africa (attenzione, non il Niger) «was well founded» («era ben fondato»). E perché gli inglesi pensavano che l’uranio interessasse Saddam? Avevano forse preso per buone le lettere false di Rocco Martino, come qualcuno azzarda? No, e infatti dichiarano che dal loro esame «di intelligence a altro materiale» emerge che «i documenti falsi non erano a disposizione del governo inglese» quando fu diffuso il white paper sulle armi di distruzione di massa di Saddam, ma «quei falsi non lo indeboliscono». La patria di James Bond in fatto di spie non è proprio alle prime armi, gli agenti dell’Mi-6 hanno informazioni di prima mano che tra il 1999 e il 2001 i trafficanti di uranio progettano di vendere uranio a Iran, Libia, Cina, Corea del Nord e appunto Irak. Ma c’è di più: il Gchq (Government communications headquarters), l’orecchio elettronico del Regno Unito, con sede a Cheltenham, registra la visita in Niger di un alto funzionario iracheno.
2. Il 7 luglio del 2004, una settimana prima del rapporto inglese, una commissione bipartisan del Senato americano, consegna un’analisi dettagliata sul comportamento dell’intelligence nel «pre-war» in Irak. Affronta con dovizia di particolari anche il caso delle analisi fatte dalla Cia sull’uranio nigerino, dove si spiega che Langley aveva ricevuto dei report di intelligence «da un governo straniero», mai nominato, «probabilmente è quello britannico». Il report racconta di un accordo per la fornitura di 500 tonnellate di uranio che potenzialmente possono armare 50 testate nucleari.
Qui entra in campo il ruolo dell’ambasciatore Joseph Wilson, marito di Valerie Plame (la spia al centro del Cia-gate). Wilson viene inviato dal vicepresidente Dick Cheney in Niger, in quanto ex ambasciatore, per trovare riscontri sulla faccenda. Wilson non trova prove sulla vendita, ma la commissione del Senato americano ricorda come lo stesso Wilson racconti «di aver avuto un incontro con l’ex primo ministro nigerino Ibrahim Mayaki, che gli racconta di esser stato interpellato nel giugno del 1999 da una delegazione di iracheni per espandere le relazioni commerciali». Sempre Wilson nel suo rapporto dice che Mohammed Sayeed Al-Sahaf, ex ministro dell’Informazione irachena (i lettori lo ricorderanno per l’esilarante gag in cui sosteneva che gli americani non avevano ancora invaso Bagdad, mentre la città brulicava di marines) era tra coloro che aveva avviato i contatti con il Niger. Attenzione: la frase «espandere le relazioni commerciali» è importantissima. Citiamo la bibbia del business, il Financial Times: «Dal momento che l’unico altro bene esportato dal Niger sono le capre, alcuni funzionari di intelligence hanno ipotizzato che al-Sahaf si stesse riferendo all’uranio».
Ecco perché basandosi sul report dell’ambasciatore Wilson, la Cia produce un’analisi in cui la frase «espandere le relazioni commerciali» viene interpretata come un tentativo di acquistare uranio. Tanto che la Commissione del Senato Usa scrive che il viaggio in Niger di Wilson «dà credibilità agli originari report sull’accordo per acquistare uranio». È vero che nel colloquio tra l’ex primo ministro nigerino e Wilson non si parla mai della vendita di uranio, ma questo l’ambasciatore lo ricorda al pubblico soltanto mesi dopo, durante un programma della Nbc, Meet the press, il 2 maggio del 2004. La Cia all’epoca, pensava che il report di Wilson alimentasse i sospetti sul Niger e sull’Irak, tanto che sempre la commissione senatoriale Usa cita un ufficiale di Langley che aveva analizzato il dossier consegnato da Wilson: «L’ufficiale giudicò molto importante il fatto che nel report fosse confermato l’incontro tra iracheni e nigerini del 1999 e che il primo ministro confermasse che gli iracheni erano interessati all’uranio. Questo perché dava credibilità ai report dei servizi segreti stranieri». Come dare torto a un analista che si trova di fronte a tali documenti? Era così spericolato arrivare a queste conclusioni?
3. Perché Bush parla di Africa e non di Niger? La Cia aveva notizie su tentativi iracheni di acquistare uranio «dalla Repubblica democratica del Congo, dalla Somalia, così come dal Niger». Ecco perché attribuire al carteggio taroccato dell’ambasciata nigerina a Roma la causa della guerra è un’operazione di disinformazione. Ancora una volta, dal report della Commissione del Senato Usa: «Era ragionevole per gli analisti ritenere che l’Irak stesse cercando l’uranio in Africa».
4. Entrambi i rapporti (americano e inglese) sul discorso di Bush concludono che le sedici parole del Presidente degli Stati Uniti non si basavano su documenti falsi e dunque sulle carte italiane di Martino.
5. Gli 007 francesi della caserma des Tourelles svolgono un’attività double face: pagano Martino per i suoi servigi e rassicurano gli americani. Coincidenze: il 3 marzo 2003 l’Aiea (Agenzia internazionale per il controllo del nucleare) invia all’ambasciata americana a Vienna la sua analisi sul dossier Niger che conclude che vi sono dei falsi. Il giorno dopo, 4 marzo, gli americani scoprono che i francesi basavano le loro analisi sugli stessi documenti già posseduti da Washington.

Domanda: i francesi che manovrano Martino mentre smista il falso dossier, sono gli stessi francesi contrari alla guerra in Irak? Sono i francesi che hanno il monopolio dell’uranio in Niger? Sono i francesi che rassicurano gli Stati Uniti sulla bontà delle informazioni sull’uranio? L’inchiesta dell’Fbi che riguarda l’Italia e il suo servizio segreto sul Niger-gate si è chiusa con l’archiviazione. Perché nessuno dà un’occhiata a Parigi?
Gian Marco Chiocci
Mario Sechi

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