Addio Chiappella, cuore di Firenze

«Li ho visti un po’ agitati». Muoveva la mano nell’aria, come disegnando il cross e la confusione che ne era derivata davanti al portiere, la voce era roca e cercava di spiegar come mai la squadra sua aveva preso quel gol, di testa, mentre lui dalla panchina aveva intuito il disastro. Beppe Chiappella era una fetta dolce del calcio, sapeva di football, eccome, si divertiva a parlarne, senza spacciare parole, con tutti, a tavola, nello spogliatoio, davanti a un bicchiere di rosso o al taccuino chiuso di un giornalista, apriva la bocca e sembrava Fernandel, era il don Camillo del nostro campionato, aveva giocato da mediano e da difensore, Fuffo Bernardini lo inventò come centromediano metodista, piazzato davanti alla difesa era una specie di sentinella insormontabile, il fisico tosto, anche panzuto, metteva timore all’avversario che avesse osato avventurarsi da quelle parti, a Firenze diventò un simbolo, senza essere un eroe, con la maglietta azzurra della nazionale fece cronaca ma non grande storia, nonostante 17 presenze, allenò a Napoli, a Firenze, a Milano, a Cagliari, a Verona, senza lasciare scorie, polemiche, rancori.
«Mi aspetta la mamèta a Rogoredo, ha preparato il risotto, el me piàs». Era nato ottantacinque anni fa a San Donato che sta nella mappa est di Milano, là dove Enrico Mattei creò la favola dell’Agip e del petrolio italiano. Beppe Chiappella aveva deciso di vivere la sua esistenza matura a Firenze ma non aveva dimenticato la terra di Lombardia, la mamèta, il risotto. Portava il borsello e dentro ci trovava appunti e sigarette, briciole di una vita normale quando era normale scrivere e lavorare con il gioco del football. La sua Fiorentina arrivò allo scudetto, poi a due coppe Italia a una finale di coppa Campioni col Real, prima squadra italiana, a una coppa delle Coppe, la sua Inter non nuotava nei miliardi contemporanei ma era pur sempre la squadra grande del passato alla ricerca del presente e del futuro. A San Pellegrino, durante il ritiro precampionato, i cronisti al seguito godevano come in gita scolastica, l’albergo era antico, fascinoso anche se decadente, si andava per boschi: «Ogni tanto ci si ferma per mangiare un panino», così narrava il Beppe, non era un film con Peppone ma tutti giù a ridere. Comunicava in dialetto con Trapattoni più giovane di lui ma della stessa pelle lombarda, operaia e normale. Penso che lo stesso facesse con il presidente Fraizzoli.
Al Franchi di Firenze si presentava ancora in tribuna stampa, in questi anni, sempre con il borsello a tracolla, il sorriso dei giorni nerazzurri di San Pellegrino, osservava la sua Fiorentina e chiedeva notizie sull’Inter. Non aveva aggiunto una ruga al suo viso sempre uguale nella serenità.

Il tempo si è portato via un’altra figurina del nostro album personale, Giuseppe Chiappella ha approfittato della sosta del campionato per salutare in silenzio, si vede che ci aveva visti un po’ agitati. Penso che stia sorridendo, sento il profumo del risotto.

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