Addio alla «cornetta» per scommettere su vestiti e aeroporti

«Il telefono, la tua voce», diceva un vecchissimo slogan della Telecom quando si chiamava ancora Sip. Visti i disservizi di allora (di allora?) qualcuno ne tirò fuori una battutaccia, «Il telefono, la tua croce», che ebbe più fortuna del claim originario e che molti ricordano ancora adesso. Fra questi ci sono sicuramente i fratelli Benetton, famosi nel mondo per le magliette e i maglioni della United Colors, che nei telefoni hanno perso nel giro di otto-nove anni qualcosa come 1,5 miliardi di euro. A questa dissanguante avventura di diversificazione nelle tlc, la famiglia di Ponzano Veneto ha detto basta il 26 novembre scorso quando ha deciso di uscire dalla Telco, la holding che custodisce il pacchetto di maggioranza relativa di Telecom Italia e della quale possedeva, attraverso la sua Sintonia, una quota dell’8,4%. Se n’è andata da quella sorta di condominio societario (gli altri partner sono Mediobanca, Intesa, Generali e la spagnola Telefonica) e si è ripresa il 2,05% diretto di azioni Telecom di sua spettanza che, come ha dichiarato Gilberto Benetton, «verranno vendute sul mercato nel corso del 2010 pian pianino, cercando di perderci il meno possibile». Comunque, finora, la minusvalenza incassata dal solo episodio Telco è stimabile attorno ai 300 milioni.
Un brutto colpo che ne segue altri. Nel 1999-2000 l’universo finanziario impazziva per la new economy, internet e le telecomunicazioni. I Benetton pensarono di entrare in quel grande gioco che si prospettava miliardario partecipando alla nascita del quarto gestore nazionale di telefonia mobile assieme a British Telecom, Bnl, Mediaset e altri. Si chiamava Blu (bel nome: l’ex presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, ne ha rivendicato la paternità) ed ebbe vita breve, tanto che nel 2002 venne sciolto. Ma i Benetton ne uscirono prima (perdendoci non cifre colossali, comunque perdendoci) perché si stava aprendo una porta ben più invitante verso il business delle tlc. Nel luglio del 2001 Marco Tronchetti Provera comprò dalla Bell di Roberto Colaninno e dei suoi amici bresciani il controllo dell’Olivetti, che a sua volta custodiva la maggioranza relativa di Telecom Italia. Per concludere l’operazione creò un veicolo nuovo, denominato Olimpia, e lo aprì a dei soci. L’invito fu accolto appunto dai Benetton. Come sia andata a finire è storia nota: poche settimane dopo sui mercati incominciò un’ondata di ribassi che colpì con accanimento particolare tutti i titoli della new economy e delle tlc. Una tosatura (e anche un ritorno al realismo) dalla quale non si sarebbero più ripresi.
Finché circa tre anni fa anche Tronchetti Provera decise di abbandonare la partita: Olimpia scomparve e spuntò Telco. I Benetton passarono come azionisti dall’una all’altra, sia pure diluendosi. Così fino al novembre scorso, quando hanno deciso di chiamarsi fuori. In totale fra Blu, Olimpia e Telco, il telefono è costato, come detto, circa 1,5 miliardi.
È comprensibile che, dopo una botta simile, il termine diversificazioni non sia molto popolare dalla parti di Ponzano dove, infatti, assicurano che in futuro il gruppo si concentrerà sui suoi business attuali che si dividono in due grandi rami. Il primo è quello del cosiddetto retail, dove stanno assieme la moda (cioè le attività tessili che sono all’origine di tutto e che nel 2008 hanno fatturato 2,1 miliardi) e Autogrill (la società più importante per volumi di fatturato, pari a 5,9 miliardi). Il secondo ramo fa capo alla subholding Sintonia - dove sono presenti come partner Goldman Sachs, un fondo sovrano di Singapore e Mediobanca - che si occupa di infrastrutture. Ne discendono Atlantia-Autostrade per l’Italia (3,2 miliardi fatturati nel 2008), le partecipazioni nella Grandi Stazioni e negli aeroporti di Torino e Firenze.
Il massimo sforzo finanziario nei prossimi anni verrà però rivolto alla Gemina, la finanziaria rilevata dalla famiglia Romiti, che ha il controllo degli Aeroporti di Roma (AdR). Questa partecipazione è l’ultima di quelle acquisite dai Benetton e viene considerata strategica: a lei sono legati i piani di sviluppo del gruppo veneto, quelli che dovrebbero far dimenticare i brutti momenti di Telecom.
L’idea è di far diventare Roma sede di uno scalo intercontinentale con 90-100 milioni di passeggeri l’anno, cinque piste, capace di competere con i grandi hub europei come Parigi, Francoforte, Londra. Di recente doveva essere presentato ufficialmente il masterplan dell’opera, ma la cerimonia è stata rinviata in seguito all'aggressione al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che voleva essere presente. L’impresa comunque va avanti e non si presenta semplice, viste le attuali condizioni di Fiumicino. Per fare solo un esempio, da due estati consecutive la riconsegna bagagli è talmente inefficiente da suscitare le proteste della stampa internazionale e le minacce di revoca della licenza da parte delle autorità aeroportuali italiane. I Benetton però ci credono, a supporto di questo progetto sono anche entrati con il 10% nella cordata Cai-Alitalia, e si stanno muovendo su vari piani. Trattano con il Changi Airport di Singapore per farlo entrare nella compagine azionaria di Adr, il che consentirebbe di portarsi in casa un partner di primissimo piano dal punto di vista tecnico-commerciale (Singapore è uno dei primi scali del mondo), e anche dotato di mezzi finanziari adeguati.
Su un altro piano hanno fatto una mossa abile: hanno chiamato alla presidenza di Adr Fabrizio Palenzona, uno dei personaggi più influenti nell’ambiente finanziario italiano, che può contare su entrature solide ed efficaci nel mondo politico. È vicepresidente di Unicredit, consigliere di Mediobanca, presidente dell’Aiscat (concessionari autostradali) e di Assoaeroporti, e ha già ottenuto un risultato importante per i grandi progetti dei Benetton nel settore aereo: un aumento delle tariffe (che deve ancora avere l’ok finale) indispensabile per finanziare dei progetti così impegnativi (si parla di investimenti per 3,6 miliardi di euro). Progetti sui quali molti analisti finanziari dimostrano però un certo scetticismo: Fiumicino (prima dell’infelice tentativo di Malpensa) è stato sempre rifiutato come hub dal pubblico italiano che, dovendo far scalo da qualche parte per raggiungere mete intercontinentali da Torino, Milano, Venezia, ecc. ha regolarmente preferito Parigi, Londra, Francoforte ed evitato Roma.

Bisognerà vedere se il nuovo Fiumicino farà cambiare questa abitudine e se la nuova avventura imprenditoriale dei Benetton avrà la sorte felice di United Colors, Autostrade, Autogrill o quella tutta da dimenticare di Telecom Italia.
1- continua

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