Addio paradiso degli animali a rischio 470 esemplari rari

L'incendio, l'inondazione poi la bancarotta. Chiude il Wildlife Waystation di Los Angeles. Tra troppi veleni

Addio paradiso degli animali a rischio 470 esemplari rari

«Dopo 43 anni, e oltre 77.000 animali salvati, il Wildlife Waystation di Los Angeles sta per chiudere». Questo è quanto hanno letto basiti, sulla pagina Facebook, i seguaci Wildlife Waystation. Molti di loro facevano volontariato all'interno di questa oasi che ospita animali selvatici in difficoltà. Il comunicato di chiusura ha colpito la maggior parte delle persone come un fulmine a ciel sereno. La maggior parte sì, ma non tutte, perché ora si accendono le polemiche su una gestione molto discutibile e non proprio specchiata del santuario zoofilo. E le critiche colpiscono anche lei, Martine Colette, la «guru» che aveva fondato la struttura e l'aveva diretta per 43 anni, con metodi che a diverse persone non piacevano per niente. Sulla pagina Facebook le cause della chiusura sono spiegate, ma non convincono del tutto. Sì certo, l'impianto, come ricordato nella comunicazione, è sopravvissuto a molteplici incendi e inondazioni e ha richiesto finanziamenti impegnativi e difficili da ricevere, per mantenere i suoi standard di qualità. Per questo, prosegue il comunicato, l'11 agosto, il Consiglio di Amministrazione di Wildlife Waystation ha votato la consegna delle sue autorizzazioni amministrative al Dipartimento Fish & Wildlife della California (CDFW) e ha deciso di chiudere la struttura. Mentre il CDFW ora mantiene l'autorità, il Wildlife Waystation sta collaborando, da vicino, per la routine quotidiana ed entrambe le parti stanno lavorando insieme per collocare tutti gli animali in strutture adeguate. La principale preoccupazione di CDFW e Wildlife Waystation va alla salute e al benessere degli animali, nessuno dei quali, sarà soppresso, anche se il processo di collocamento durerà un anno o forse più. Segue il ringraziamento a lei, Martine Colette, definita un «pioniere» che ha saputo creare il primo di questi santuari negli Stati Uniti, un'oasi dove trovavano rifugio persino le scimmie sopravvissute ai laboratori della vivisezione. Ed è proprio lei che scrive: «Sono devastata e ho il cuore spezzato. Tuttavia, l'attenzione deve essere posta sugli animali. Dobbiamo fare tutto il possibile per loro». E conclude il suo messaggio chiedendo a tutti un ulteriore sforzo economico per finanziare l'operazione di trasferimento degli animali.

A parte gli ovvi commenti dispiaciuti di chi frequentava l'oasi o addirittura la sosteneva finanziariamente, sulla pagina però cominciano a comparire commenti di diversa natura, soprattutto sull'operato del «pioniere», su come Martine Colette utilizzasse il suo quasi assoluto potere nella gestione del santuario. «Me ne sono andata via schifata dai modi di trattare chi voleva soltanto aiutare» scrive una volontaria, a proposito di Colette, dipinta come una sorta di Richelieu le cui manovre andavano ben oltre il benessere e la salute degli animali. Colette, che aveva sostenitori come Bruce Willis e Drew Barrymore, viene ora descritta come persona «abrasiva, con un feroce amore per gli animali e un disprezzo per qualsiasi regola tranne la sua. Lo stesso nuovo consiglio di amministrazione sta conducendo una revisione completa degli impatti fiscali e di transazioni non approvate portate e termine da parte del personale. Individui del personale amministrativo - scrive il Los Angeles Times - pianificava ed eseguiva attività sconosciute e non autorizzate dal consiglio».

E cala un'ombra densa e fuligginosa su di «lei» che non poteva non sapere, così come sul vecchio consiglio manovrato dal «pioniere». E scoppia di nuovo la polemica sugli zoo.

Il Wildlife, era davvero un santuario o sotto sotto si celava dell'altro? L'unica cosa certa oggi è che ci sono più di 470 animali esotici da collocare, tra cui leoni, tigri, lupi, alligatori e scimpanzè che non erano certo nel consiglio d'amministrazione.

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