«Adesso impariamo a capire gli italiani»

da Roma

Ermete Realacci, ancora convinto che il Pd rischi l’estinzione per colpa dei «caminetti» e dei troppi leader?
«Ci troviamo davanti a un cammino lungo da fare. Il risultato di Roma ci dice che non basterà fare bene l’opposizione. Bisognerà leggere con più attenzione la società italiana. Perché noi, le paure e le ansie dei cittadini non siamo riusciti a interpretarle».
Eppure lo sapevate da tempo che il voto a Roma si sarebbe giocato sul terreno della sicurezza.
«Il fatto è che vedere Roma descritta come una banlieue degradata ci è parso esagerato, ma quando a pensarlo sono i cittadini, la politica deve dare risposte, deve rassicurarli. Ci è mancata una lettura più attenta della società».
Scusi, ma eravamo partiti dal problema della leadership. Non era stato lei a dire che il nodo è quello?
«Dicevo, appunto, che per dare una risposta ai cittadini c’è necessità di una pienezza di convinzione sui passi che dovremo prendere, e credo che la richiesta di Walter Veltroni di anticipare il congresso vada in questa direzione. Forse i problemi di leadership hanno pesato sulle elezioni, ma adesso non siamo più in campagna elettorale e noi siamo chiamati a organizzarci in modo da essere comprensibili ed efficaci nell’azione politica».
Il governo ombra è uno strumento adatto, oppure finirete per scioglierlo dopo pochi giorni, come successe con il precedente di Achille Occhetto?
«È una delle tante scelte organizzative utili. A patto che si capisca che la condizione politica è cambiata».
In peggio, verrebbe da dire, visto il voto per il Campidoglio, non crede?
«Noi speravamo in uno scenario come il 2001»
In che senso?
«Quando il centrodestra aveva una maggioranza ampia, ma il centrosinistra incassò una serie di vittorie nelle elezioni amministrative, facendo cambiare gli equilibri. Se avessimo vinto a Roma si sarebbe verificata una situazione simile».
Vista la batosta, quali conclusioni traete?
«Lo scenario ci fa capire che la situazione ora è profondamente cambiata. Se c’è una cosa che non ci possiamo più permettere è guardare il Paese con l’atteggiamento di chi dice “non mi avete capito”. Ora gli italiani hanno fatto una scelta: a noi sta capire quali sono le possibili alternative, captando quello che si muove».
Insomma, una spallata finita male e ora inizia la traversata del deserto. Scusi se insisto, ma la dirigerete dal «caminetto»?
«È chiaro che quelle strumentazioni vanno superate. Il partito deve darsi un’organizzazione, dei dirigenti che, appunto, non siano più dettati dall’emergenza. Che possano agire nel lungo periodo».
Auspica anche un ricambio generazionale: via tutti i big della sinistra tradizionale?
«Io penso che si debba dare forma alle cose dette in campagna elettorale».
In realtà avete perso...
«Abbiamo risalito la china e ottenuto risultati che fino a sei mesi fa sembravano impossibili».
Torniamo al ricambio.
«Innovazione non significa azzerare le energie migliori in campo. Certo, deve essere chiara l’idea che non siamo la continuazione delle storie precedenti».


Non pensa che al congresso, seguendo la sua stessa logica, qualcuno metterà in discussione anche la leadership di Veltroni?
«No, anche perché nella riunione di oggi è stata confermata. Certo, i Tafazzi non mancano nel centrosinistra, ma sarebbe veramente un autolesionismo estremo. È evidente che senza questa leadership non saremmo più in condizioni di ragionare sul futuro».

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