Alitalia, ecco gli interrogativi del mercato

Le parole del ministro spingono il titolo in Borsa: più 2,5%

da Milano

«Dai segnali che abbiamo l'asta non dovrebbe andare deserta» ha detto ieri, a proposito di Alitalia, il ministro dei Trasporti, Alessandro Bianchi. Il ministro sa bene che il 29 non scatta un’asta, ma questo è ugualmente bastato a far salire del 2,52% il titolo in Borsa. Il tam tam finanziario continua a ripetere nomi di partecipanti a cordate, più o meno credibili; ma nessuno conferma. Anche l’incontro tra il presidente di Air One, Carlo Toto, e il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, è stato minimizzato dalla compagnia. Da Texas Pacific group, nome già registrato nelle ultime settimane ma riemerso ieri, è venuto solo un no comment.
È molto probabile che il 29 ci saranno delle manifestazioni d’interesse, come intendeva dire Bianchi, perché chi le avanza acquisisce solo un diritto a procedere, ma nessun impegno: deve solo avere i requisiti patrimoniali richiesti dal bando. I quesiti su cui gli osservatori e il mercato s’interrogano sono altri, e non ruotano tanto sulla data del 29 gennaio, quanto sulle «misteriose» dimissioni dal cda Alitalia di Jean Cyril Spinetta, presidente di Air France, e sull’assemblea del 22 febbraio, che dovrà rinominare il cda decaduto.
Questi elementi s’intrecciano. A molti è apparso molto strano lo scontro tra Spinetta e il Tesoro sui retroscena delle dimissioni; se la ricostruzione di Spinetta è corretta (e ci s’immagina che lo sia, visto che il Tesoro ha solo opposto una precisazione e non una smentita) si può essere indotti a pensare che il decadimento del cda di Alitalia sia stato deciso a tavolino. La ragione: senza cda, alla Consob che premeva per avere chiarimenti sui conti, gli amministratori rimasti hanno potuto rispondere genericamente «non confermando né smentendo che le perdite 2006 saranno di 400 milioni». All’assemblea del 22 febbraio Cimoli non potrà tuttavia esimersi, davanti ai soci, dal fare dichiarazioni in proposito e sull’esistenza o no della «continuità aziendale»: perché se le perdite fossero superiori a un terzo del capitale (1,29 miliardi) si creerebbero le condizioni per l’abbattimento di questo, e in assenza di continuità l’azienda verrebbe avviata verso il commissariamento, con tutto quel che ne consegue: neutralizzazione di creditori e sindacati, libertà di ristrutturare e di vendere rami d’azienda.
Se le perdite aprono davvero questi scenari, è chiaro che sarebbe stato del tutto intempestivo dichiararle prima del 29 gennaio, perché avrebbe scombinato tutte le carte del governo: ecco trovata una spiegazione logica al decadimento del cda. È chiaro che perdite eccessive, con queste prospettive, sono in grado di annientare tutta la procedura di privatizzazione, e che un eventuale acquirente dovrebbe vedersela con un commissario.
Un altro equivoco, sul quale il mercato s’interroga, va chiarito: e cioè l’investimento necessario per acquistare Alitalia nel caso in cui la gara vada avanti. Anche Air France ha detto che «è troppo cara». Va osservato che non si tratterà di un’asta, ma di una trattativa (su cui il governo si è premurato di mantenere la massima libertà), e che il prezzo del 30,1% sarà solo una componente delle eventuali offerte, nelle quali le parti più importanti riguarderanno risanamento e sviluppo.

Il Tesoro potrebbe anche «regalare» (si fa per dire) la propria quota a un investitore credibile, rimanendo in società con il residuo 20% scarso, e mettendolo nelle condizioni di pagare la società, Opa compresa, non più dei 600-700 milioni che essa ha in cassa; e che appare a molti, verosimilmente, il suo vero valore.

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