Allarme rosso al ballottaggio Il Pd non sa più con chi stare

RomaL’obiettivo (tutto sommato minimal) che il leader Pd aveva indicato è stato raggiunto solo in parte. Ballottaggio a Milano e Napoli e vittoria al primo turno a Bologna e Torino, aveva detto Pier Luigi Bersani.
A Napoli il ballottaggio c’è, ma senza il candidato Pd perchè l’ex pm d’assalto (assalto più mediatico che processuale, ma tant’è) Luigi De Magistris ha scavalcato d’impeto il moderato prefetto Morcone. A Torino Piero Fassino vince al primo colpo, e bene, ma nella rossa Bologna il povero Virginio Merola se la è vista brutta, e solo a sera ha visto materializzarsi la quota salvezza del 50%, minacciata dalla furiosa avanzata dei grillini (e della Lega sull’altro fronte). Però c’è Milano, che solo qualche giorno fa sembrava un sogno impossibile, e che oggi è il vero fuoco d’artificio che con la sua esplosione attutisce e copre tutto il resto.
Bersani ora fa un po’ il gigione: «Ve l’avevo detto già due mesi fa che a Milano si vinceva, e sono stato sbeffeggiato», poi ammette: «La cosa successa oggi è andata di là delle aspettative». E si vede che non sta nella pelle: lo scalpo della Moratti è il simbolo beneaugurante di una partita molto più epocale, per un Pd in crisi permanente che ora intravede l’uscita dal tunnel. E la sconfitta - spera il segretario - delle fronde interne, e delle richieste di congressi. «Noi vinciamo e loro perdono», dice, per chiudere la bocca anche ai critici di casa con un argomento inaggirabile. E per il momento gli altri sembrano prenderne atto: Veltroni vede una «inequivocabile sconfitta di Berlusconi» e chiama all’unità per i ballottaggi. E persino Peppe Fioroni riconosce che «se si vince a Milano è una cosa enorme».
Nel sorprendente exploit di Pisapia (e nel buon risultato del Pd a Milano e nel nord), Bersani intravede il passaporto per poter affermare la propria leadership, quando si tratterà di scegliere un candidato premier per il centrosinistra. E ieri sera i suoi fedelissimi già di affrettavano a diffondere la parola d’ordine: «A Milano vince la linea impersonata da Bersani». Resta da misurare quanto e come i suoi avversari interni gli imputeranno nei prossimi giorni la batosta di Napoli e la perdita di terreno nella roccaforte emiliana. Entrambe se non attese certo temute: a Napoli già una ventina di giorni fa circolava un sondaggio minaccioso che prevedeva l’espulsione del Pd dal ballottaggio. Il Riformista ne aveva dato notizia in prima pagina, suscitando le ire di Via del Nazareno. Negli ultimi giorni la tendenza sembrava invertita, ma che la minaccia del populista De Magistris fosse temuta lo testimonia anche il fatto che Bersani, ai primi di maggio, ha rinunciato (su indicazione dei suoi) al comizio partenopeo. Evitando di mettere la propria faccia sulla sconfitta di Morcone. Quanto a Bologna, dove il Pd partiva disastrato da una serie di jatture (la fuga di Cofferati; il sexgate che ha costretto alle dimissioni il sindaco di Prodi, Delbono; il coccolone che ha messo fuorigioco il candidato «forte» Cevenini; le gaffe di Merola), l’allarme rosso ballottaggio si era diffuso da giorni, e fino all’ultimo si è temuto che la chiamata alle armi dell’elettorato ex Pci, sotto la regia del bersaniano Vasco Errani, potesse non bastare.
Ora per il Pd si apre la partita complicata delle alleanze, prima nei ballottaggi e poi in vista del voto nazionale. La sponda del Terzo Polo esce assai ridimensionata dalla prova: «Non riesce ad arrivare neanche terzo», nota Sergio Chiamparino. Il Pd lo sfiderà a «scegliere subito», nei ballottaggi, pro o contro Berlusconi, ma è già chiaro che nè Fini nè Casini possono appoggiare il dipietrista De Magistris (mentre l’Udc di De Mita sta già trattando con Lettieri) o Pisapia. L’avanzata del fenomeno Grillo preoccupa, ma - confessa cinicamente un dirigente Pd - «alla fine ci fa gioco, perchè toglie voti a Di Pietro e taglia le gambe alla “novità” Vendola, più che penalizzare noi». Persino un moderato come Enrico Letta invita a «fare i conti» col movimento del comico genovese, «dandogli risposte».

Alla fine, dicono in casa Pd, si andrà verso una riproposizione obbligata della formula Pd-Idv-Sel, magari con aperture ai grillini, offrendo l’alleanza ai centristi. Prospettiva che allarma un moderato come Marco Follini, che teme la «deriva a sinistra».

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