E fu così che le parole d’ordine divennero le ultime parole famose. «Alternativo alla sinistra» e «saldamente collocato all’interno della Casa delle libertà e del Ppe», diceva il documento fondativo dell’Udc per definire e insieme dare la linea al nuovo partito.
Era il 2 febbraio del 2002. Il Ccd di Pier Ferdinando Casini, il Cdu di Rocco Buttiglione e la Democrazia europea dell’ex sindacalista Sergio D’Antoni decisero di unire le forze e approvarono il Manifesto di un ambizioso progetto politico. L’Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro avrebbe visto ufficialmente la luce con il congresso del successivo 6 dicembre, che ne avrebbe assegnato la guida a Marco Follini. Vista la sorte del primo segretario, che dopo aver fatto cadere il governo Berlusconi salutò i vecchi amici per abbracciare i compagni del Pd, magari si poteva pure intuire come sarebbe andata a finire. Allora però chi se lo sarebbe immaginato, che il partito che sognava di diventare «il Ppe italiano» sarebbe finito così, a elemosinare assessorati più a manca che a destra. Riletto oggi, l’atto costitutivo, pubblicato con autorevolezza dal gruppo al Senato, mica dalle edizioni Paoline, farebbe ridere se la situazione non fosse grave e pure piuttosto seria. Con Casini che alle Politiche corre da solo e alle Regionali si allea con il centrosinistra senza che il partito sia mai stato chiamato a votare la svolta, o almeno a correggere l’originario documento programmatico.
Punto uno di 69: «Il 2 febbraio i Consigli nazionali del Ccd-Cdu e De hanno approvato il Manifesto del nuovo soggetto politico, l’Unione dei Democraticicristiani e democratici di centro, alternativo alla sinistra e saldamente collocato all’interno della Casa delle libertà e del Ppe».
Basterebbe questo, ma non basta. Perché il concetto viene ripreso e ampliato in svariati passaggi, roba da tormentone. Così, per dire, al punto 6 il centro «sa di essere alternativo alla sinistra» e sì certo, anche «non subordinato alla destra», ma intanto «afferma la propria identità democratico cristiana e liberal-democratica», alzi la mano chi si è mai sentito così nel Pd e nel mare magnum della Sinistra. Al punto 11 i padri dell’Udc prendono atto che «nella Casa delle libertà esistono valori e battaglie che giustificano una nostra specifica identità politica», e l’elenco è esilarante, là dove oggi Casini accusa il premier e fondatore della Cdl, Silvio Berlusconi, di non rispettare le istituzioni, ma allora il suo partito nasceva lodandone «la moderazione e il senso delle istituzioni», passando per «il solidarismo e l’europeismo».
Al punto 20 poi, addirittura «ci impegneremo in totale sintonia con la Casa delle libertà a battere dentro il Paese tutte le pericolose tendenze conservatrici e antiriformatrici che vogliono ritardare il cambiamento», e vallo a dire a chi oggi fra i nuovi alleati dell’Udc, dall’Idv a parte del Pd, pur di non fare le riforme riscopre il fascino della conservazione. Passando per il punto 12, con il quale l’Udc benediceva quel bipolarismo che oggi è diventato il principale nemico di Pierferdy: «Siamo per una democrazia che dia rappresentanza a tutte le forze vive del paese, rispettando il ruolo del Parlamento e costringendo le forze politiche a coalizioni stabili di legislatura in modo da assicurare la governabilità», olé.
Ce ne sarebbe abbastanza per fare la rivoluzione, ma non si può, perché l’Udc non fa congressi da un numero di anni sufficiente a non trovare spazi di confronto, roba da rimpiangere le lunghe notti di caffè e sigarette e sudore e strepiti della vecchia Dc. L’unica è andarsene, e infatti in molti hanno già fatto i bagagli. Fra i primi, proprio l’autore dell’atto costitutivo del partito, «e di tutti i testi programmatici» segnala Pierluigi Pollini: il professore che per trent’anni è stato l’«ideologo» di Buttiglione e che oggi è dirigente dei Popolari-Liberali di Carlo Giovanardi. «Viste le premesse, è un po’ come se oggi Berlusconi si alleasse con il Pd - lamenta -. Avrebbe avuto un senso, forse, la proposta di Buttiglione di correre da soli dappertutto, per portare alle estreme conseguenze l’idea di destrutturare il bipolarismo. Ma alleandosi con la sinistra Casini tradisce l’Udc, fra l’altro con metodo monarchico e padronale, visto che la svolta non è stata votata in un congresso».
E dire, annota Pollini, che il progetto originario «non era certo questa politica dei due forni, ma anticipava addirittura il predellino, visto che nasceva per favorire l’aggregazione delle forze di centro alternative alla sinistra, come fa l’attuale Pdl». Senza addentrarsi nei contenuti, che a partire dalla bioetica nulla hanno a che fare con il centrosinistra, «i valori non si scelgono, sono loro a scegliere noi - metteva nero su bianco l’Udc -. Ci vengono incontro (...) dalla nostra cultura».
Quel documento di otto anni fa, adesso fa da prefazione al libro che Pollini ha scritto con Giovanardi, «I Popolari-Liberali nel Pdl. Le ragioni di una scelta fatta in tempi non sospetti». L’attuale sottosegretario alla presidenza, quando lasciò l’Udc si beccò l’accusa di «tradire per la poltrona». Lui.
Adesso si toglie almeno un sassolino dalla scarpa: «Mentre il Pdl, accusato di antidemocraticità interna, diventa sempre più democratico con il tesseramento e i congressi, l’Udc fa il percorso inverso, e straccia ogni regola democratica interna».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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