
Caro direttore Feltri, ricordo quando Matteo Salvini introdusse a fine 2024 il nuovo Codice della Strada, e immediate scoppiarono le polemiche: troppe multe, regole affrettate, attacchi trasversali. Eppure oggi emergono dati incoraggianti: meno incidenti, meno feriti, meno morti. Ho visto i post social del ministro stesso. Quindi mi chiedo: spesso ciò che viene contestato alla fine risulta utile per la collettività? Succede anche con le medicine: inizialmente le respingiamo, ma sono le uniche che curano. Lei cosa ne pensa, direttore?
Caterina Scopelliti
Cara Caterina,
hai centrato il punto: non è mica rivoluzionario scoprire che le regole, se applicate con rigore, migliorano il comportamento collettivo. Il nuovo Codice della Strada, voluto da Salvini, è stato accolto con urla e accuse fin da dicembre 2024, ma oggi, a sette mesi dall’entrata in vigore, le statistiche del Ministero parlano chiaro: deceduti in calo del 10,6% (da 762 a 681), incidenti mortali calati dell’8,4% (da 692 a 634) e feriti in diminuzione del 3,6% (da 24.143 a 23.185). Nei primi due mesi (14 dicembre 2024 – 13 febbraio 2025), i dati mostrano un calo del 6% degli incidenti, del 22,1% degli incidenti mortali (da 208 a 162) e del 24,2% delle vittime (da 227 a 172). Ma soprattutto, dopo sette mesi compare
il quadro completo: meno 1.034 incidenti in valore assoluto e meno 81 morti rispetto all’anno precedente. Numeri che indicano un trend reale, non un fuoco di paglia. Eppure il ministro è stato criticato per avere, ancora una volta, affermato il principio di legalità, la disciplina al volante, il senso di responsabilità alla guida, la necessità di salvaguardare la sicurezza individuale e collettiva. Quando si inveisce contro le piccole riforme e poi si scopre che funzionano e realizzano lo scopo perseguito, chi ha torto: le norme o gli avversari ideologici? Ebbene, chi è resistente al cambiamento ha sempre qualcosa da obiettare, ma, se alla fine il risultato è tangibile, va riconosciuto con onestà. Ci dispiaceva avere perso Salvini quale ministro dell’Interno, ma come ministro dei Trasporti non mi pare da meno. Tu hai citato i farmaci: sì, è esattamente quello il punto. L’automobilista italiano è notoriamente refrattario: mettere da parte il telefonino, rispettare i limiti, non bere alcolici sapendo che ci si dovrà porre alla guida costituiscono per lui non regole basilari di buona condotta bensì un attacco frontale alla sua libertà, una punizione ingiusta. Eppure, quando vengono introdotte sanzioni severe e previsti controlli più serrati, i comportamenti vengono modificati. Non
perché le persone cambino mentalità, ma perché sanno che adeguarsi alla legge costa meno che violarla. Chiariamoci: nessuna riforma è perfetta, nessun Codice è una bacchetta magica. Serve tempo, servono dati integrati, serve il potenziamento dei controlli nei centri urbani. Le associazioni di sicurezza, validamente, ricordano che occorrono altresì studi seri e una più rapida raccolta dati da Comuni, Prefetture, Polizie Locali. Però il fatto che già a sette mesi si vedano trend positivi non è una mera opinione. È qualcosa di fattuale. È la prova che la severità non è una piaga e che osservando la norma si proteggono gli altri, non solo ci si salva la vita. In conclusione, cara Caterina, tu hai fatto bene ad evidenziare il cortocircuito tra polemica e risultato.
La critica è legittima, ma se la collettività ne guadagna in sicurezza, se sotto e grazie a quel codice crollano incidenti e decessi, allora anche chi lo ha contestato deve ammettere che quella norma, pur osteggiata, era davvero indispensabile.