RomaIncontrarla, parlare con lei, condividere i suoi entusiasmi e le sue pene è poco meno di unimpresa. Perché Anna Marchesini, che i francesi definirono la risposta italiana a Charlot, è una persona timida e riservata. Che fa pensare a unintellettuale della Rive Gauche se non addirittura a Simone de Beauvoir. Glielo dico e subito la sua espressione si rasserena e le parole che si temeva uscissero a raffica da quella bocca a cuoricino che condivide con Audrey Hepburn cominciano a sgorgare con limpeto di una cascata. Tanto che ne approfitto. È vero, le domando, che pensava da anni di interpretare la piccola Winnie di Giorni felici nel capolavoro di Samuel Beckett? «Verissimo», è la sorprendente risposta, «come mai si meraviglia?». Sono stupito, confesso, che una strepitosa attrice comica come lei abbia voluto interpretare il ruolo di una signora borghese che, immersa fino alla vita nella terra dopo unesplosione nucleare, continua a trovar bella e desiderabile la vita... «Lei non mi conosce e quindi mi sottovaluta. Si ricorda o no che, dopo la dissoluzione del Trio che formavo con Tullio Solenghi e Massimo Lopez, figuravo in scena nei panni di un gay in Patatina nello zucchero, il testo di Bennett che, prima di me, tutte le attrici avevano rifiutato?».
Mi ha convinto. Ma un conto è fingersi un eroe scanzonato e grottesco, e un altro sfidare le più grandi attrici del Novecento. O no?
«Crede? Beckett, da diabolico irlandese, aveva previsto invece una comica di razza. La sola in grado di credere che inabissarsi nella terra fosse un gioco».
Il pubblico finalmente le ha dato ragione. Se qui a Roma, come ho visto io, ogni sera è accolta da standing ovation. Tanto che voglio sapere subito cosa farà, dopo aver dato voce e volto al delirio di Winnie. Me lo confida o no?
«Io studio ogni mossa come un architetto quando progetta una casa. Quando frequentavo lAccademia darte drammatica tutti mi prendevano in giro quando confessavo i miei sogni. Ossia recitare Cechov e il giorno dopo Ibsen. Alla risata che contagia la platea, sono arrivata per caso».
Ma le piaceva o no provocare ilarità «à gogo»?
«Sa che non lo so? Anche se con Tullio e Massimo mi son divertita un mondo».
Finché un bel giorno...
«Un bel giorno vidi una foto di Laura Adani che, tutta boccoli e fronzoli, metà sprofondata nella sabbia col suo viso tutte mossette, incarnava Winnie».
E allora?
«Ho capito che tutto fa parte della vita, anche a teatro. Dove le differenze in fondo contano poco».
Quindi decise di...
«Non decisi un bel niente. In Tv volevano sempre il Trio e il cinema non mi cercava né tanto né poco. Poi una sera vidi Sarah Ferrati, la più grande attrice che abbiamo avuto, truccata in scena da vecchia comicarola mentre si sputava allo specchio. Sono un gallina vecchia e me ne vanto, diceva. Di colpo scelsi di andare per la mia strada. Tirai fuori testi e monologhi che nessuno voleva, dai Cinesi alla Rossa del Roxy Bar. Prima che, come un dono del cielo, incontrassi Judy Garland».
Come?
«Fui chiamata a doppiarla nel Mago di Oz. E poi Beckett, una sera, mi apparve in sogno. Non pensare alle altre Winnie, pensa a te stessa, mi disse. Solo allora mi sono convinta».
Tanto che ha deciso di far tutto da sola, ha scelto il partner, ha firmato la regia, si è messa in testa una coroncina di fiori rossi come il sangue e...
«E hopplà, sono diventata questa signora».
Fino a quando la vedremo nei suoi panni?
«Finché me lo concederà un altro autore. Italiano, stavolta».
Di chi si tratta, prego?
«Di un altro fantasma ossia Massimo Landolfi, il nostro più grande scrittore esoterico. Di lui ho interpretato Le zitelle. Con successo, non lo nego. Anche se adesso mi fa un po paura».
Come mai?
«Semplice, lho tradito con lirlandese.
È vero che gli eredi di Beckett le concederanno di essere Winnie anche sullo schermo?
«Ma no, che idea! Certo non sarebbe male. E se davanti alla macchina da presa il mio corpo sparisse?».
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