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Altro che ostruzionismo: gli alleati coprirono di armi i partigiani rossi

Con il volume di Tommaso Piffer (Gli Alleati e la Resistenza italiana, Il Mulino, pagg. 366, euro 28,00) viene finalmente meno una delle «grandi bugie» diffusa dalla vulgata resistenziale secondo la quale, tra il 1943 e il 1945, gli angloamericani, pur restando nominalmente fedeli all’impegno di sostenere ogni movimento intenzionato a battersi contro nazisti e fascisti, dimostrarono disinteresse e ostilità verso le formazioni di guerriglia egemonizzate dal Pci e dal Partito d’azione. Sulla base di una poderosa documentazione inedita, proveniente dagli archivi statunitensi e britannici, Piffer dimostra al contrario che nessuna considerazione politica determinò Londra e Washington a operare discriminazioni tra le diverse bande partigiane e che anzi il maggiore afflusso di aiuti in armamenti, medicinali, generi alimentari fu destinato a quelle comuniste attive in Friuli, in Veneto, in Piemonte, in Liguria, in Emilia, anche a discapito dei gruppi di combattimento cattolici, liberali, monarchici.
Questa strategia di supporto verso le Brigate Garibaldi guidate da Luigi Longo, Pietro Secchia e Giancarlo Pajetta appare a posteriori imprudente, azzardata, addirittura autolesionista. L’Unione Sovietica infatti combattè, all’interno del comune confronto militare contro il nazismo, una vera e propria «guerra parallela» per acquisire una posizione di incontrastata supremazia nell’Europa danubiana, balcanica e nello scacchiere mediterraneo, sfruttando a proprio vantaggio l’apporto delle insurrezioni locali di opposizione al nazismo. Numerosi materiali conservati nei National Archives ci rivelano che naturalmente tale minaccia non rimase sconosciuta al governo inglese. Il 15 maggio del 1944, un membro della missione militare britannica a Mosca inviava al War Cabinet un dettagliato resoconto sull’aspra competizione, definibile in termini di «neutralità armata», che opponeva la resistenza polacca, fedele al legittimo governo esiliato a Londra, e quella che si era organizzata sotto il controllo russo. I nazionalisti polacchi non esitavano ad affermare che se «il trattamento della Germania verso il loro paese fosse stato migliore, essi sarebbero stati disposti a collaborare con le forze di occupazione naziste contro l’Armata rossa e i banditi bolscevici che la fiancheggiavano», i quali, invece di volgere le loro armi contro la Wehrmacht, organizzavano azioni di sistematico terrorismo contro i civili.
Identica situazione si verificava in Grecia, nel settembre del 1944, dopo la ritirata delle truppe tedesche, quando il Re degli elleni comunicava a Londra la sua decisione di raggiungere il suo paese per impedirne l’invasione da parte della Russia, appoggiata dalle bande comuniste dell’Elas. Il 4 dicembre, il rappresentante inglese, presso il governo greco in esilio, Reginald Leeper, comunicava al Foreign Office che la critica situazione che si andava configurando doveva spingere la Gran Bretagna a inviare un corpo di spedizione aviotrasportato per impedire che l’Elas conquistasse con la violenza il controllo di Atene. Era l’inizio della guerra civile greca che si sarebbe protratta fino al 1949.
Perché dunque Inghilterra e Stati Uniti continuarono ad appoggiare fino all’aprile del 1945 lo schieramento di sinistra operante nella Penisola? Molto probabilmente a causa della convinzione, espressa da Eden nella primavera del 1943, che il popolo italiano fosse nella sua stragrande maggioranza vaccinato da un possibile «contagio comunista», ma anche perché i comandi alleati, come Piffer giustamente sottolinea, nutrivano scarsissima fiducia nelle capacità militari dei resistenti filo-sovietici operanti nella Penisola, considerandoli utili per qualche azione di disturbo nelle retrovie ma del tutto privi di «un qualche valore dal punto di vista militare fino a un ritiro dei tedeschi e nell’imminenza di un loro collasso». Per quanto riguardava poi la fiducia sulla lealtà delle formazioni azioniste, questa si fondava sul fatto che uno dei suoi maggiori leader, Leo Valiani, era stato fin dal 1939 organicamente inserito, con lo pseudomino di Giuseppe Federico, nei quadri dello Special Operations Executive britannico, come ho potuto apprendere da alcuni documenti anch’essi conservati nei National Archives che presto diventeranno di pubblico dominio.
Era però un calcolo sicuramente troppo ottimistico. In un concitato messaggio trasmesso, il 2 giugno 1945, a Roosevelt, Churchill rendeva noto che Tito aveva chiesto imperiosamente l’evacuazione delle forze anglomericane dalla Venezia Giulia. Secondo le intenzioni di Belgrado quella parte del territorio italiano sarebbe dovuto passare sotto il controllo del IX Korpus jugoslavo e delle formazioni garibaldine che il premier inglese ormai considerava «uno strumento militare asservito alla volontà di potenza del Cremlino».


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