Amato soffre per l’indulto ma inciampa sui numeri

Francesco Damato

Pur capace di fare di conto, Giuliano Amato ogni tanto inciampa nei numeri. Gli è accaduto ultimamente a Napoli, dove è accorso per concordare e firmare con le autorità locali un «piano di sicurezza» imposto dall’aggressività crescente della criminalità, comune e organizzata.
Il ministro dell'Interno ha cercato di consolare appunto con i suoi numeri il sindaco Rosa Russo Iervolino e il governatore regionale Antonio Bassolino, furenti per essere stata la loro Napoli paragonata da giornali e avversari politici ad una fogna o al Far West. «Dall’inizio dell’anno - ha detto Amato - sono state arrestate cinquemila persone, mentre nel Far West non veniva arrestato nessuno. Qualche volta anzi finiva in carcere lo sceriffo».
Purtroppo a Napoli non in dieci mesi ma solo in dieci giorni, nella scorsa estate, sono stati anche rimessi in libertà per l'indulto, approvato dal ministro dell’Interno con una «sofferenza» dichiarata solo adesso, più di mille detenuti. Alcuni dei quali hanno ripreso subito le loro abitudini, avendo partecipato alle più recenti mattanze nella città e dintorni. Ma, a parte questo pur non secondario elemento, Amato non si accorge che proprio quei cinquemila arresti da lui vantati danno la misura dell’emergenza partenopea.
Se continua a scorrere così spesso nelle strade di Napoli fra le immondizie più sangue che acqua, nonostante le manette scattate a ben diecimila polsi in dieci mesi, a rappresentare la situazione non basta neppure l’immagine del Far West. Dove certo capitava anche che qualche sceriffo fosse arrestato dai fuorilegge. Ma anche a Napoli sotto questo aspetto non si scherza. Oltre agli agenti di polizia aggrediti in certi quartieri per impedire la cattura di delinquenti inseguiti o ricercati, vorrei ricordare la gogna subita dal Procuratore della Repubblica Agostino Cordova, colpevole di voler fare sul serio il suo lavoro e rimosso con tanto di decisione del consiglio cosiddetto superiore della magistratura.
Trasferiamoci adesso al nord. Qualche mese fa, fresco ancora di nomina al Viminale, Amato tirò fuori altri numeri per contestare l’indice giustamente puntato da molti contro gli immigrati clandestini per la recrudescenza delle rapine. «Il cinquanta per cento di queste - precisò il ministro con aria non dico soddisfatta, ma quasi - risultano compiute da italiani, non da stranieri».
Mi venne voglia allora di chiamarlo per fargli amichevolmente notare come la notizia più allarmante ricavabile dai suoi numeri fosse quella del cinquanta per cento delle rapine compiute dagli immigrati, visto che costoro rappresentano - credo - solo il cinque per cento della popolazione. Rinunciai a chiamarlo, e anche a scriverne, per pigrizia estiva. Riparo adesso, visto peraltro che le rapine da quelle parti non sono certo finite. E profitto dell’occasione anche per dirgli - vista la contrarietà da lui dichiarata, in dissenso dal guardasigilli Clemente Mastella, all’uso dell’esercito per fronteggiare l’emergenza partenopea - che a Napoli, per quanto le sia legato da ricordi d’infanzia e di università, ho smesso di andare da quando, bloccato in una lunghissima coda d’auto sulla strada che costeggia il porto, a poche centinaia di metri da Piazza Municipio, fui selvaggiamente rapinato senza che nessuno - dico nessuno - intervenisse ad aiutarmi. Vi tornerei solo se strade, incroci e quartieri centrali e periferici fossero presidiati militarmente per il tempo necessario a convincere scippatori e rapinatori a cambiare attività.

Già, perché quello dello scippo e della rapina a Napoli è diventato un mestiere, più tollerato che combattuto.

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