
Da un po’ di tempo non c’è niente di più divisivo di un simbolo, come la bandiera, che dovrebbe unire.
Quella palestinese la trovi dovunque, spesso fuori contesto. Quella israeliana, qualsiasi posto per bruciarla ormai va bene. Quella europea, proprio perché sa di poco, sta bene su tutto. Quella altoatesina da domani si potrà issare da sola, anche senza il Tricolore, sugli edifici della Provincia. E ieri abbiamo saputo che in Germania la presidente del Bundestag Julia Klöckner ha deciso di non esporre la bandiera arcobaleno sul Parlamento durante il Gay Pride di Berlino del 26 luglio. Scelta sostenuta da Friedrich Merz, leader della Cdu, che ha detto: «Il Parlamento non è un tendone da circo». E subito – sempre parlando per metafore, sia chiaro – i «pagliacci» si sono arrabbiati. La comunità Lgbtq è insorta. Domanda: ma Friedrich Merz non era il moderato che doveva frenare l’ascesa dell’estrema destra tedesca? Mah. Ormai sono tutti fascisti.
Comunque, quando Marco Mengoni lo ha saputo gli è caduto il corpetto. Del resto, il 42% degli italiani considera il Gay Pride una «carnevalata». Può succedere.
Dai che forse ne stiamo uscendo. Magari non è ancora il momento di togliere la bandiera dell’Unione europea dai nostri palazzi, ma evitare quella arcobaleno su un Parlamento nazionale è già un primo passo.
Come dice un amico liberale, meno simboli religiosi o ideologici sventolano sugli edifici pubblici, meglio è.Bisogna imparare che la stessa bandiera in certi momenti si può spiegare con forza. In altri è bene piegarla con cura.