Quando morì a Bordighera a due passi da dove era nato, fu accompagnato alla tomba da zuccherose commemorazioni. «Il poeta benigno della vita ha chiuso gli occhi buoni e pensosi», «La sua opera intera forma una melodia daffetto», e così via. Il Nostro lasciava dietro di sé una moltitudine di best seller leggeri. Soprattutto libri di viaggi: Ricordi di Londra, Ricordi di Parigi, Marocco, eccetera. Ma anche bozzetti di vita militare, scolastica e celebrazioni del vino di cui era stato un assiduo, prima di convertirsi al latte negli ultimi anni. Più volte ristampata la sua conferenza sugli effetti di una bella bevuta. Dalla beatitudine del primo bicchiere che ti fa esclamare: «Oh! Per questa sera, cacciamo le noie e i pensieri», fino al farsi «accompagnare a casa a braccetto». Fu questa bonomia a dargli enorme successo e a suscitare il cordoglio per la dipartita.
Ma già un anno dopo, la mielosità del defunto era giudicata con sarcasmo. «La sua - scriveva G.A. Borghese nel 1909 - è lopera di un facile ottimista, tutta soffusa di un biondare roseo... una prosa dolciastra e levigata... una chiara duovo pazientemente battuta e montata a meraviglia». Quando il suo nome compariva sui giornali, era accompagnato da attributi di sufficienza come «il compianto», «il povero», «il caro». «Pensate se qualcuno scrivesse - osservava ancora Borghese - il caro, il povero, il compianto Carducci! Nemmeno immaginabile». Quello stesso Carducci che lo aveva sbeffeggiato in vita inchiodandolo a due epiteti ridicoli, «Luomo dei Languori», «Re de Cuori». Dallindomani della morte, dunque, il posto del Nostro nella storia, come uomo e come scrittore, era assegnato: un campione di mediocri virtù borghesi. Giudizio giunto immutato fino ai giorni nostri.
Nulla di più inesatto. Egli fu un egoista, a tratti perfido. Esaltò a parole larmonia domestica, ma ebbe una tremenda vita familiare di cui portò la massima responsabilità. Era un belluomo, per alcuni con una testa fidiaca, per altri michelangiolesca. Per stare al sodo: aveva occhi saraceni, baffoni e capelli ricci. Intrecciò amori e amoretti, mutevoli come le stagioni. Filava con donne più grandi di lui che finiva sempre per chiamare «mamma». Spesso le sceglieva di nome Teresa, che era, per lappunto, quello della madre. Era afflitto da una sensualità inesausta, con qualche ricaduta letteraria come questa: «Tho vista al circo, bruna maledetta/ E mhai messo le fibre alla tortura/ Avevi indosso la tua veste scura/ Ed era ogni tuo sguardo una saetta/ Ed ogni riso una morsicatura». O questaltra: «Bella turchetta...». No, questa ve la risparmio: il tipo vi è ormai chiaro.
Conobbe la moglie per via di una lettera che costei gli scrisse dicendosi unammiratrice in fin di vita, con lestremo desiderio di averlo al capezzale. Il Nostro accorse, strinse fra le sue la manina febbrile e mezzora dopo lAngelo della morte era volato via. La ragazza, una Teresa anche lei e di due anni più grande, gli rivelò tra i baci lamoroso tranello e i due si sposarono. Ma fu un matrimonio semiclandestino per decisione del Nostro che non osando affrontare i giudizi della madre sulla sposa, preferì nascondergliela sempre, come fece anche coi figli, Furio e Ugo.
Mantenere un segreto del genere, significava condannarsi ai sotterfugi. Mentre la gente per anni continuò a chiedersi se fosse sposato o no, il famoso scrittore approfittava dellambiguità per saltellare come un mandrillo da unalcova allaltra. La moglie sulle prime trovò conforto nei pargoletti, poi dichiarò al marito una lotta senza quartiere.
Venti anni dopo, finito lodioso matrimonio, la donna stese unautobiografia in tre volumi che circolò a lungo manoscritta, prima di sparire per decenni e riemergere da chissà quale ripostiglio alcuni anni fa. Dallopera, esce rovesciata limmagine tradizionale del Nostro, tutta latte e miele. Egli, scrive la moglie, «non aveva mai messo radici nella propria famiglia. Fui chiamata selvaggia perché mai vista in sua compagnia... ma fu mio marito che preferì sempre la compagnia di altre donne. Costretta a celare la maternità perché egli non voleva apparire come marito... ero persino obbligata a affrettare il passo e sparire, se per caso lo avessi incontrato».
Nella rassegna della vita familiare, la moglie affronta anche il suicidio del primogenito, Furio, che si tirò una pallottola a 21 anni nel parco torinese del Valentino. Inconsolabile e quasi sullorlo della pazzia, la donna attribuisce il gesto al «cattivo esempio del padre» e alla sua, da lei mai digerita, adesione al socialismo. «In casa nostra era un continuo andare e venire di esseri ripugnanti e morbosi... La casa fu stretta da cerchi di ladre e di ladri», mentre lui «se la godeva un mondo, e nellombra, coi compagni e le compagne».
La separazione mise fine a questa guerra dei Roses.
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