Cronaca locale

Ambrogino d’oro e consigliere del Piccolo

Editore di splendidi volumi patinati di arte e impresa, producer di video d'arte per musei come il Metropolitan, il MOMA e il Guggenheim di New York, appena riconfermata nel consiglio di amministrazione del Piccolo Teatro, sta lavorando al suo ultimo progetto: una rassegna di cinema italiano presso la più grande Università cinese a Pechino. Arte, bellezza, cultura: questa è Federica Olivares, «o della passione competente» come la apostrofa spesso Annalisa Zanni, direttrice del museo Poldi Pezzoli. Olivares ci riceve nella sede della sua casa editrice - appena scelta dalla Fondazione per la Cultura dell'Aga Khan per essere l'editore della mostra di arte islamica “Splendori a Corte” - dietro la piazza di Santa Babila: un trionfo di colori che ha sul visitatore effetto energizzante, creato dalla splendida collezione di arte moderna e contemporanea ereditata dal padre. Ci aspetta in compagnia di un libro di cui condivide lo sguardo intenso e originale: Ascolto il tuo cuore città, di Alberto Savinio (Adelphi), che in queste pagine definisce Milano «dotta e meditativa: la più romantica delle città italiane».
Che cosa significa per lei «milanesità»?
«Amo profondamente questa città e ho sempre deciso di tornarci. Personalmente mi sento milanese nel senso del “buono e fatto bene”, del “rispettoso delle parole date e delle promesse fatte”. Questo modo di essere milanese è la base per essere riconosciuta nel mondo anglosassone. Al proprio meglio la mentalità milanese, di tradizione lombarda, chiusa, e perciò affidabile perché con molto controllo sociale, si porta dietro una propria responsabilità di eccellenza di stampo calvinista. La società americana, tuttavia, sa ancora premiare il lavoro fatto bene, cosa che non posso sempre dire di Milano, specie negli ultimi anni, in cui il ciclo virtuoso meritocratico è andato imbarbarendosi nel ciclo delle appartenenze».
La sua famiglia ha un legame molto antico con Milano?
«Provengo da una famiglia che dal 1627 è in questa città. Di origine spagnola - “manzoniana”, se ricordate il conte Duca di Olivares che compare nei Promessi Sposi. E sono figlia di un padre notaio già di quarta generazione, anche se poi ho scelto di fare studi completamente diversi. Tutta questa stratificazione di competenze portate da culture differenti ha fatto sì che la mia famiglia abbia radici profonde in questa città».
Che significa essere donne a Milano e volersi realizzare a livello imprenditoriale?
«Milano è una città amica delle donne. In cui le eccellenze femminili, da Maria Teresa d'Austria in poi, hanno sempre avuto molto spazio. Le prime donne laureate in alcune facoltà sono state a Milano. Questo la dice lunga anche sulle “aperture” familiari. C'è un'alta concentrazione di donne editore a Milano: Inge Feltrinelli, Elisabetta Sgarbi, Fiorenza Mursia, Elena Lodigiani, io stessa. Milano ospita un'élite culturale femminile, la più alta concentrazione di donne dirigenti del paese. Gli ostacoli? il principale è che Milano non permette di unire serenità personale ed eccellenza professionale. Sempre più spesso le donne che lo capiscono si mettono in proprio, per rendere la realtà professionale più flessibile. Un altro grande ostacolo è la mancanza di vocazione professionale: oggi le ventenni si sentono al massimo vocate per la seduttività, per la vetrina da showgirl».
Quali sono i suoi luoghi del cuore di Milano?
«Sono nata in Santa Maria la Porta, in zona Magenta, che nel tempo si è trasformata, ma che è rimasta il fulcro storico di Milano, un punto catalizzatore delle tradizioni della città. Ricordo che ai tempi, il parroco di Santa Maria Segreta, lì vicino, quando pioveva diceva che andava a chiamare “l'angelo del bel tempo”. Direi che tra i luoghi del cuore ci sono senz'altro due musei, il Poldi Pezzoli e Brera. Quando avevo quattro anni, mio padre ci portava la domenica a Brera a vedere un solo quadro e ce lo spiegava. Ricordo l'emozione e l'amore con cui mi narrò lo Sposalizio della Vergine, la Madonna del Pollaiolo. Un altro luogo caro alla memoria è la libreria Hoepli, con la sua colonna storica, il libraio Branduani. Uscita dal Parini, dove feci le medie, passavo di lì e annusavo i libri. E Branduani diceva sempre a mia mamma: “Questa tuseta andrà lontano, perché le piace l'odore della carta”. Un giorno entrò nella libreria Valentino Bompiani, più bello di Giuseppe Verdi. Chiesi a Branduani “Chi è quel signore?” E lui mi rispose “È un editore”.

Fu allora che decisi: se esisteva un mestiere che rendeva così belli, dovevo farlo per forza».

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