nostro inviato a Genova
«La riscossa è dietro langolo» assicura Carlo Ancelotti, per la prima volta nella stagione con lespressione indurita dagli inquietanti ritardi del Milan e dai boatos attendibili sul suo traballante futuro. «Dobbiamo avere la convinzione per andare a prendercela» aggiunge con accento da guerriero. Che quasi stona sulle labbra di un pacifico condottiero finito sulla graticola dal 16 luglio, giorno del raduno rossonero, e posto subito dinanzi a un bivio senza via duscita: o vince lo scudetto oppure finisce la sua avventura a Milanello giunta al sesto anno consecutivo (esordio il 18 novembre 2001 a Piacenza). E non conta granchè se, sempre per la prima volta, Ancelotti impugna lalibi che pure è giusto riconoscergli. Nessuno, tra critici, tifosi e dirigenti, sembra disposto ad aprirgli un paracadute. «Non ho avuto molto tempo per dare unanima a questo nuovo Milan, appena avremo superato il prossimo ciclo di partite, lavremo» garantisce lallenatore reduce da un feroce faccia a faccia con la squadra, o meglio coi protagonisti della figuraccia di Lugano in particolare.
«Non ripeto in pubblico quel che ho detto in privato» è la sua protezione della privacy che non rimane mai tale se poi le frasi più significative («adesso basta, mi avete rotto, da oggi si cambia registro») finiscono sui giornali, riferite dagli stessi calciatori che sono sotto torchio da qualche giorno. Turni di lavoro più impegnativi (invece dei pomeriggi liberi tutti davanti alla tv e vedersi le partite e a studiare il rivale, ndr), regole rigide da rispettare (Seedorf, per esempio, con la sua auto non può arrivare più fino allo spogliatoio di Milanello come accadeva fino a maggio scorso, ndr) sono le conseguenze inevitabili per combattere il collettivo imborghesimento tradito da tutte le componenti societarie, staff tecnico e squadra, appagate dai tanti successi dellultimo ciclo. «In pratica non ho mai avuto tempo per allenare Pato, Sheva, Ronaldinho e Kakà» la frase ripetuta più volte da Ancelotti. Seguita da una postilla che è tutta da decifrare. «Credo che anche la società condivida questo mio giudizio» la frase di Ancelotti. E invece, come si capisce al volo, Adriano Galliani, il vice-presidente, in silenzio strategico, continua a esercitare un pressing asfissiante su tecnico e squadra, con tre rapporti, uno dietro laltro, mai registrati in sequenza dalle parti di Milanello. Butta male, insomma.
LAncelotti furioso è una notizia e non date retta alla sua disincatata chiosa sulle indiscrezioni che lo danno esonerato se dovesse perdere a Genova. «Mi è venuto da sorridere perchè di solito queste voci mi portano bene. Le ho sentite prima della semifinale di Champions con lInter, le ho risentite prima del Bayern, leggevo che Lippi era al casello di Solbiate Arno (tutto vero e accertato, naturalmente, ndr)» lo sfogo di Carletto. Se si difende così i motivi sono due: sa bene di rischiare la pelle e sa bene di non poter garantire sulla tenuta di una squadra avvilita dalla condizione fisica e ancora alla ricerca di una formula tattica convincente. Lunica garanzia è il ritorno, a pieno regime di giri non proprio, di Kakà che è sempre stato uno degli interpreti più sublimi del Milan di Ancelotti, il risolutore dei giorni complicati.
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