Anche la Cassazione fa scuola per lo studente che vuole bigiare

Marcello D’Orta

Alcuni anni fa Tony Blair pensò di risolvere il problema evasione scolastica facendo scattare le manette ai polsi di quanti erano sorpresi a bigiare durante le ore di lezione. Questo anche perché il fenomeno, in Gran Bretagna, aveva (ed ha) risvolti di ordine pubblico: molti adolescenti sono coinvolti in furti proprio durante l'orario d'insegnamento.
Non se ne fece niente (a Londra come a Roma, a Parigi come a Berlino, e in qualsiasi altra grande città del mondo, a migliaia sono gli studenti che «fanno filone», per dirla alla napoletana, o «bigiano», per dirla alla milanese, o «fanno sega», per dirla alla romana, o «se la buttano», per dirla alla palermitana, eccetera) e la polizia, per dar la caccia ai Lucignoli e i Pinocchi rischierebbe di perder di vista Jack lo squartatore.
L'Italia bocciò subito quella proposta. L'allora ministro della Pubblica istruzione, Luigi Berlinguer, dichiarò: «Non si possono risolvere i problemi della scuola col carcere. Quando si è costretti a rivolgersi alla polizia vuol dire che si è falliti».
Ma ora che succede? Succede che da qualche settimana, ronde di poliziotti girano per il centro di Ascoli Piceno e di Treviso alla ricerca di chi marina la scuola. Entrano nelle sale gioco, nei bar, nei caffè, in tutti quei locali pubblici dove possono cogliere in flagrante «bigionamento» studenti dell'età dell'obbligo (sedici anni). In tal caso non scattano le manette, né si abbattono sulle imberbi spalle degli evasori manganellate da M.P. o S.P. (Military Police, Shore Patrol, le pattuglie di poliziotti americani che, bambino, vedevo girare per il quartiere portuale di Napoli) ma parte una nota della Questura per i genitori, che poi è una minaccia: se non manderanno i figli a scuola, rischieranno dai sei mesi a un anno di carcere per «omesso controllo».
Belle parole, buone intenzioni, delle quali, come si dice, è lastricato il pavimento dell'Inferno. Qualche anno fa, a Napoli, in una poderosa operazione dei carabinieri denominata «Arcobaleno», furono ricondotti in famiglia 300 bambini sorpresi a lavorare in officine, bar, panetterie ecc. e i loro datori di lavoro puniti con severe ammende. Pochi giorni di scuola, e la maggior parte di quei ragazzi ritornò sui rispettivi luoghi di lavoro.
Di recente, la Cassazione ha stabilito che i genitori non sono responsabili se un figlio minorenne rifiuta di andare a scuola in modo «categorico, assoluto, cosciente e volontario».
In Italia la percentuale di chi evade l'obbligo scolastico è circa del 24%, il che, tradotto in costi per lo Stato, significa due miliardi di euro l'anno.
I carabinieri denunciano i genitori. Sta bene. Ma io denuncio lo Stato. Più della metà delle nostre scuole non è in regola con le norme di sicurezza; a migliaia non hanno palestre, mense, spazi verdi; moltissime sono ancora allocate in vecchie e tristi strutture (ex conventi, ex ospedali, perfino ex reclusori); in centinaia si svolgono doppi e qualche volta tripli turni; in moltissime i servizi igienici sono appunto una... latrina. E potrei continuare (per esempio indicare scuole dove a comandare sono custodi e bidelli in odor di mafia e di camorra).

L’evasione scolastica nasce anche da qua.
Diceva Maria Montessori: «Fatemi vedere la scuola di questo Paese, e vi dirò che cosa penso del Governo».
A me pare che il «governo», in Italia, non abbia mai funzionato gran che.

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