«Terroristi e basta»: così su la Repubblica Barbara Spinelli ha ieri liquidato la resistenza afghana contro lUnione Sovietica. È una curiosa forma di miopia intellettuale, ovvero di malafede, e sorprende che ne sia vittima chi dovrebbe sapere che nelle guerre di liberazione o di indipendenza nazionale, il confine fra civile e militare è accidentato e lasimmetria fra «partigiani» e «regolari» una costante. È la stessa miopia, ovvero malafede, che in altri tempi giudicò un «atto dovuto di giustizia del popolo» lesecuzione di un Mussolini sconfitto e in fuga e la successiva macelleria in stile messicano di piazzale Loreto e che oggi si indigna per leliminazione manu militari di Osama Bin Laden
Siamo sempre insomma nei dintorni della Fattoria degli animali di George Orwell, dove tutti gli animali erano eguali, ma alcuni lo erano più degli altri e quindi legittimavano un diverso modo di procedere
Winston Churchill, che almeno non era un ipocrita, allindomani della «cortina di ferro» con cui Stalin si era annesso di fatto lEuropa orientale, se ne uscì con «abbiamo ucciso il porco sbagliato». Ucciso, non processato
Queste delle «garanzie formali» fa anche un po sorridere, un lavacro delle coscienze miope, ovvero in malafede, che giudica legittimo il tribunale di Norimberga o il processo a Saddam Hussein, truffe legalitarie di cui ci si dovrebbe vergognare. Una delle ultime in ordine di tempo riguardò il presidente serbo Milosevic ed era talmente grottesca che limputato provvidenzialmente venne fatto morire in carcere
Qualsiasi giudizio si voglia o si possa dare su Bin Laden, va detto che nellucciderlo in unoperazione militare gli Stati Uniti hanno mostrato più rispetto nei suoi confronti che se lavessero preso vivo e poi esposto in qualche aula di tribunale come una bestia in gabbia.
Si può naturalmente discutere quanto e se egli fosse «politicamente morto» già prima di essere ucciso, ma questo punto, intorno al quale ruota larticolo della Spinelli, non risolve la questione, si limita a spostarla, in quella curiosa logica del «non è questo il problema» del «ma altro» così cara a un certo modo di ragionare. In realtà, il giudizio sul fallimento della politica di Bin Laden dato dai suoi avversari non risolve quello che lo stesso Bin Laden dava sulla propria: la sua era una crociata, con i suoi successi e le sue sconfitte, una questione di fede, non un calcolo politico. Fosse anche rimasto da solo, non per questo avrebbe considerato sbagliato il suo modo di agire. Sotto questo profilo, il terrorismo come pratica politica è un qualcosa di inestirpabile, con cui sarebbe meglio abituarsi a convivere.
Più interessante è chiedersi quanto e se «le sommosse arabe» di questi ultimi tempi significhino veramente, come sostiene larticolista di la Repubblica, «costituzioni pluraliste, leggi eguali per tutti, separazione dei poteri». Più che unanalisi, questa per la verità è ciò che gli anglosassoni chiamano whisful thinking, il voler far coincidere le proprie speranze con la realtà effettuale delle cose. Per certi versi, dopo aver stigmatizzato «la pretesa della esportazione della democrazia dallesterno», la si fa in qualche modo rientrare di soppiatto, come dimostra ampiamente il caso della Libia, intorno al quale la cortina fumogena dellintervento umanitario non riesce a nascondere la realtà di una guerra per bande contrapposte, dove lalleato di ieri diventa di colpo il nemico di oggi.
È probabile che la morte di Bin Laden chiuda un ciclo, nonostante ripercussioni e contraccolpi che di sicuro non mancheranno.
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