«Anche il Pd voti Mauro presidente a Strasburgo»

RomaMinistro Andrea Ronchi, Mario Mauro presidente del Parlamento Ue: possibile o resta un miraggio?
«Mauro ha dimostrato, nel corso di questi anni, qualità professionali e umane fuori discussione».
Un italiano alla guida dell’Europarlamento: sarebbe un bel colpo per il Paese.
«Le sue capacità sono riconosciute da tutti e dal 1979 l’Italia non ha un ruolo importante a Strasburgo. Sarebbe bello vederlo alla guida del Parlamento».
Ma polacchi, europei dell’Est, tedeschi e forse i francesi fanno il tifo per Jerzy Buzek, ex premier della Polonia. Come la mettiamo?
«È ancora presto per dirlo, i giochi sono ancora tutti aperti. Il mio auspicio è che anche la sinistra appoggi la candidatura di Mauro».
In nome dell’italianità?
«Certo, come fece Berlusconi con Prodi. Nel 1999, designato dai governi alla guida della Commissione europea, il Professore ottenne l’appoggio anche dei popolari».
Atteggiamento non reciproco?
«La sinistra non ha la sensibilità dimostrata in passato dal centrodestra. A Bruxelles non abbiamo mai attaccato gli eurosocialisti: lì siamo l’Italia».
Ma è possibile che i socialisti nostrani convergano sul cattolico Mauro?
«Mi auguro di sì. Vorrebbe dire superare gli steccati ideologici in nome di un più elevato interesse nazionale».
Piero Fassino ha già detto: «Nessuna pregiudiziale su alcun nome». Buon segno?
«Speriamo che anche altri seguano il suo esempio. Ahimè ho notato che la sua posizione non è condivisa da tutti».
Il cattolicesimo di Mauro può essere uno scoglio?
«Non penso sia motivo di intoppo. O almeno non dovrebbe esserlo. Purtroppo, però, spesso una certa parte della sinistra è antigovernativa per partito preso».
A che scopo?
«Per avere delle rivalse in Europa, non capendo che così fa male a tutto il Paese».
Insomma, non fanno squadra come dovrebbero?
«Non fanno come fanno tutti gli altri: difendere i propri interessi nazionali al di là degli schieramenti politici».
Qualche esempio?
«Sui fondi europei, per esempio, mentre gli altri facevano squadra i nostri consideravano l’Europa come una cassa di risonanza per fare propaganda contro l’esecutivo. In Italia possiamo dividerci finché si vuole, in Europa sarebbe meglio di no».
Insomma, lancia un appello come ha già fatto sul pacchetto clima?
«In quella occasione lanciai l’allarme agli eurodeputati italiani sulle possibili ricadute negative che il pacchetto avrebbe potuto avere su occupazione e competitività».
E venne ascoltato?
«Sì: chiesi, come faccio ora, di difendere gli interessi nazionali, al di là degli schieramenti di parte».
E poi le battaglie di tutto il governo su Mose, Bre-Be-Mi, rigassificatori e altre opere ferme.
«Noi siamo sempre stati per la politica del fare contro la politica del “no”, spesso avallata dall’eurosinistra. Siamo contro i mille veti e il falso ambientalismo. E abbiamo sbloccato tante opere infrastrutturali di fondamentale importanza».
Il Ppe vorrebbe anche la riconferma di Barroso alla guida della Commissione europea: è possibile un accordo tra Popolari e Pse?
«Me lo auguro. Il presidente Berlusconi s’è già espresso in questo senso. Dobbiamo guardare maggiormente ai programmi, ai progetti e alle sinergie che possono creare un’Europa sempre più forte».
L’Europa ha davanti a sé un’incognita: il referendum irlandese. E se vince il “no”?
«Sono convinto che l’Irlanda aderirà. Abbiamo bisogno di una siringata di fiducia contro l’euroscetticismo. A noi interessa un’Europa vicina ai cittadini, non fredda, né burocratica».


Ha capito cos’è l’Asde, l’Alleanza dei socialisti e dei democratici europei?
«Mi sembra sia un affannoso tentativo del Pd di trovare la propria collocazione in Europa per nascondere delle criticità che sono politiche e identitarie».

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