Il settore calzaturiero italiano risponde alla crisi in modo tetragono. Si espande sui mercati ricchi riconfermando la sua leadership mondiale. È attento alle sfide della globalizzazione e controbatte mutando la capacità produttiva e i livelli di competitività dei prodotti.
Dà battaglia a Bruxelles ribattendo che lunica vera trincea dellidentità produttiva italiana ed europea è la difesa strenua del «Made in», contro ogni invasione barbarica contraffattiva o di gioco al ribasso.
Riafferma la sua competenza di leader mondiale in fatto di stile, tendenza, ricerca e innovazione nel settore (al ritmo di 8-10 nuove collezioni lanno presentate al mondo), imponendo con il made in Italy livelli di qualità e sofisticatezza impareggiabili.
Inchioda il governo su temi concreti e inerenti la catena del valore, dallabbattimento del cuneo fiscale sul costo del lavoro, alla defiscalizzazione delle spese di ricerca e sviluppo, per un settore che ogni anno innova 6-7 volte le linee di stili, di colori e di materiali. Incalza il mondo bancario e finanziario perché riconosca limportanza di una politica del credito, più vicina al mondo produttivo e dellimpresa.
Fa del Micam di Milano la più vasta vetrina di business del pianeta, dove questanno - in interazione con la città - convergeranno anche i livelli più sofisticati e tendenzialisti del fashion design.
Il made in Italy rilancia su tutti i mercati? «Ci muoviamo a ventaglio non tralasciando nessuna opportunità. La crisi non lo permette. Anche questanno possiamo riconfermare len plein in Russia, Cina, Giappone, e Nord America. Lì il nostro prestigio è in crescita e lafflusso al Micam ( 1600 espositori, oltre 42mila visitatori) lo riafferma. Siamo uno dei settori tra i più dinamici delleconomia nazionale, con numeri e successi internazionali di tutto rispetto e livelli occupazionali (+ 1% nel 2011) e fatturati di indubbio valore - spiega Cleto Sagripanti, dal giugno del 2011, presidente dellAssociazione nazionale calzaturifici italiani (Anci) -. Una realtà economica sofisticatissima che dà da lavorare a oltre 100mila persone in sette distretti produttivi, dalle Marche, al Veneto, passando per Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Campania e Puglia. Un settore che va adeguatamente sostenuto perché strategico per il Paese. Gli altri avranno anche lelettronica, noi abbiamo caposaldi produttivi delleccellenza altrettanto importanti e di tendenza. Un tessuto economico vivo, con oltre seimila aziende senza contare lindotto».
E i numeri parlano da soli. Oltre 203 milioni di paia di scarpe prodotte nel 2010 (più 2,5% nel 2011), con un fatturato vicino ai 7 miliardi di euro (più 5,3% nel 2011) e un export, comprese le riesportazioni, di poco superiore a 221 milioni di paia, con un giro daffari di 6,6 miliardi di euro.
«Ciò che appare evidente è il fatto che nel settore calzaturiero si sta ormai consolidando un cambiamento di tipo strutturale - precisa -. Ciò significa che la crisi, lungi dallessere un mero fatto congiunturale, sta attualmente modificando lintera struttura del sistema calzaturiero. Le aziende cominciano a reagire e a porre in essere trasformazioni al proprio interno che mutano conseguentemente lintero settore».
La crisi incalza e il calzaturiero italiano rilancia? «Occorre sfruttare lopportunità del cambiamento per avviare un nuovo ciclo di sviluppo.
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