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Ancora «007», l’intramontabile

Azione, commedia, avventura, ritmi al cardiopalma, e sensuali bondgirls. Sarà una befana ricca di storie e di facce quella che in questo inizio di 2007 spingerà i cinefili dritti al botteghino. Tra i titoli di richiamo benedetti dalle major e attesi dal pubblico spiccano «Casino Royale» e «Apocalypto». Il primo, diretto con mano ferma da Martin Campbell (Goldeneye), segna il ritorno di James Bond sul grande schermo. Ad incarnare la spia dagli occhi di ghiaccio, fascinoso playboy e gran degustatore di Martini, è Daniel Craig, divo ruvido e sexy che grazie alla sua convincente performance nei panni, pardon nello smoking, di 007 ha già sbaragliato la concorrenza piazzandosi secondo - dietro a Sean Connery - nella classifica dei migliori Bond della storia. «Casino Royale» è una sorta di prequel della saga inventata dal romanziere Ian Fleming che si sviluppa tra fiumi di denaro, scenari esotici, bellezze mozzafiato, e intrighi internazionali. Tutto per raccontare l’esordio dell’agente segreto al servizio di Sua Maestà, impegnato in «Casino Royale» nella sua prima missione ufficiale: incastrare un potente finanziatore del terrorismo (interpretato da Mads Mikkelsen) sfidandolo a poker. Ottimo script e cast di lusso che affianca Judi Dench a Eva Green, Caterina Murino, Giancarlo Giannini e Claudio Santamaria (in 21 sale e in originale al Metropolitan).
Scorci esotici e adrenalina in circolo anche per «Apocalypto» il nuovo feroce kolossal diretto da Mel Gibson che dopo le provocazioni lanciate con «The Passion» ha scelto di raccontare un’altra storia di emozioni ancestrali. La pellicola epico-sanguinolenta, girata in lingua yucateca e interpretata da attori non professionisti, rievoca il tramonto della civiltà Maya governata da una ristretta casta sacerdotale dedita ai sacrifici umani; al centro della vicenda c’è la fuga di un uomo che lotta per la vita e per la libertà (in 18 sale). Graffi ironici politicamente scorretti e situazioni paradossali caratterizzano «Il grande capo», commedia naif firmata Lars Von Trier che usa la metafora della recitazione (il teatro d’improvvisazione) per fare a brandelli la morale applicata al marketing. Realizzato dal regista danese in automavision, «Il grande capo» è una storia caustica di ordinaria globalizzazione: un attore fallito viene scritturato dal boss di una società in liquidazione per recitare il ruolo del presidente, cioè quel grande capo che i dipendenti conoscono solo come firma sulle e-mail. Tutto fila secondo copione finché l’attore, entrato troppo nella parte, inscena un monologo devastante per i lavoratori. (Alcazar, Eurcine, Fiamma, Giulio Cesare, Ugc). Dagli allori della Festa del Cinema di Roma, dove il protagonista Giorgio Colangeli ha vinto il Marco Aurelio come miglior attore, alle sale cittadine (Eden, Quattro Fontane, Nuovo Sacher, Tibur). Parliamo de «L’aria salata», un dramma intimo, secco e di forte impatto emotivo che segna l’esordio alla regia di Alessandro Angelini. Toccante sin dalla prima inquadratura e mai banale nei dialoghi, il film narra una storia di redenzione affettiva e riabilitazione sociale tra un padre in carcere per omicidio e suo figlio Fabio. I due non si vedono da anni.

Impiegato come educatore all’interno dei penitenziari, Fabio (Giorgio Pasotti) contrariamente a quanto gli suggerisce la sorella (Michela Cescon) non riesce a sottrarsi a un confronto lacerante col padre, e durante un aspro colloquio di routine confessa al genitore la propria identità. E il proprio disprezzo.

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