Approvata (per un voto) la riforma costituzionale di Sarkò

Il presidente, in visita a Dublino, contestato da un gruppo di manifestanti euroscettici

Parigi. Nel giorno rovente di Nicolas Sarkozy - ieri ospite dei recalcitranti irlandesi, mentre a Versailles il Parlamento a Camere riunite votava il suo progetto di revisione costituzionale - anche le piccole informazioni hanno importanza. Ecco dunque il presidente francese tirare un sospiro di sollievo di fronte a una notizia che in altri tempi lo avrebbe lasciato indifferente: la sua popolarità è aumentata dell’un per cento. Resta bassa: soltanto il 39 per cento dei suoi connazionali approva la sua politica. Un anno fa erano il 66. Ma la tendenza è stata invertita. Per riguadagnare terreno, Sarkozy gioca in casa la carta della riforma delle istituzioni golliste e della Costituzione del 1958 (rivista nel 1962 in senso nettamente presidenzialista), approvata ieri per un voto. Nel nome del dialogo, il capo dello Stato dice di voler dare spazio al Parlamento cui consente di poter scegliere il proprio ordine del giorno. Nella Francia presidenzialista, i due rami del Parlamento non erano finora liberi d’organizzare le proprie discussioni e le proprie sessioni. A sua volta, il presidente della Repubblica non poteva rivolgersi a deputati e senatori dall’interno delle loro aule. In futuro, le cose cambieranno: maggiore responsabilità del Parlamento e possibilità al presidente di rivolgersi direttamente agli eletti del popolo.
La riforma costituzionale, già passata in seduta separata al Senato e all’Assemblea nazionale, ha ottenuto ieri la definitiva approvazione dalla riunione congiunta delle due Camere - che in occasioni del genere si riuniscono sempre nell’antica reggia di Versailles - con un solo voto in più della maggioranza di due terzi richiesta: 539 a favore, 357 contro. Le opposizioni si sono opposte, ma il governo ha potuto fare a meno del loro sostegno, perché il centrodestra ha fatto quadrato attorno alla proposta di riforma.
Sarkozy per riguadagnare popolarità in casa si muove anche all’estero e si presenta come l’architetto della nuova Europa. Il viaggio di ieri a Dublino non poteva risolvere di per sé il problema creato dal no irlandese, pronunciato in occasione del referendum del mese scorso sulla ratifica del Trattato di Lisbona. Nella sua veste di presidente di turno dell’Unione, Sarkozy ha cominciato a cercare una soluzione. Ha proposto ai leader irlandesi la convocazione di un secondo referendum in cambio di qualche «eccezione» (di marginale importanza) per l’Irlanda nel rispetto delle nuove norme europee.

Una piccola folla di contestatori euroscettici ha accolto il presidente nella capitale irlandese. Lo slogan più urlato è stato: «No vuol dire no». Ma in Francia, Sarkozy è già riuscito a trasformare un «no» in un «sì» e potrebbe ora insegnare agli irlandesi come fare a loro volta il miracolo.

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