In quasi settant'anni di carriera registica Peter Brook ha diretto un po'di tutto: impeccabili drammi shakespeariani, innovative pièces di Beckett e Genet, film raffinati ma per tutti come Il signore delle mosche, pellicole conturbanti per rari e tenaci spettatori come Marat-Sade. Ovviamente anche opere liriche, soprattutto agli esordi; in seguito, come ha scritto nella sua autobiografia, ha sviluppato «un odio assoluto nei confronti di questo genere teatrale così immobile e cristallizzato», da cui si è tenuto lontano per almeno vent'anni. Finché nel 1981 ha deciso di cimentarsi con la Carmen di Bizet, lasciando allibiti parecchi melomani: d'altra parte il suo allestimento disadorno e antiretorico, con scene tratteggiate da linee di sabbia e un libretto ridotto all'osso, non poteva che disorientare i fautori della tradizione operistica. Con la stessa radicalità Brook ha scelto di affrontare Il Flauto Magico di Mozart: ne è scaturito uno spettacolo della durata di un'ora e mezza invece delle quattro previste dalla versione originale - con scenografie limitate a qualche canna di bambù, una partitura per solo pianoforte, pochi e giovani cantanti - che sarà in cartellone al Piccolo Teatro Strehler da giovedì 24 febbraio a sabato 19 marzo, e in due anteprime strettamente riservate ai giovani con meno di vent'anni martedì 22 e mercoledì 23 febbraio.
Al suo debutto parigino, nel novembre dello scorso anno, l'opera ha ricevuto dalla stampa giudizi contrastanti. Mentre Le Monde e Le Parisien ne hanno elogiato la grazia e la capacità di far emergere «l'essenziale dello spirito mozartiano», Le Figaro e Libération hanno deplorato un «alleggerimento del testo» ritenuto infondato ed eccessivo. Quanto all'infondatezza, Brook aveva chiarito anticipatamente che il suo allestimento non ha la pretesa di rivelare l'autentica interpretazione del singspiel di Mozart: non a caso lo spettacolo si intitola Un Flauto Magico, si presenta quindi come uno dei possibili adattamenti dell'originale. La leggerezza poi è una costante delle sue regie, ma non ne è la caratteristica preponderante e non è mai fine a se stessa. Gli spettacoli di Brook sono insomma lievi ma compatti, possiedono una ferrea e quasi plastica coesione interna che fa risaltare le relazioni portanti tra i personaggi. Così come avviene in questo Flauto Magico che - dopo essere stato sfrondato, più che nella sua struttura narrativa, delle sovrastrutture interpretative costruite nei secoli - si concentra sull'iniziazione all'amore dei due adolescenti protagonisti, Tamino e Pamina, e sugli aspetti allo stesso tempo prodigiosi e quotidiani del loro rapporto.
Peter Brook non è solo il più importante regista teatrale vivente: è anche un uomo che ha attraversato il secondo Novecento alla ricerca di punti di contatto tra culture differenti, di quelle intersezioni tra Occidente e Oriente che sono al centro di molti suoi spettacoli e soprattutto dei suoi film. Per questa ragione il Piccolo, in collaborazione con l'Assessorato alla Cultura del Comune di Milano, ha organizzato una fitta rassegna intitolata «Peter Brook maestro di pensiero, tra cinema e teatro» che prevede incontri, concerti e proiezioni di lungometraggi e documentari. Gli incontri si terranno dal 24 febbraio al 3 marzo presso il chiostro del Piccolo Teatro Grassi e in altre sedi e offriranno innanzitutto degli approfondimenti sul Flauto Magico di Mozart. Dal 28 febbraio al 6 marzo, al cinema Gnomo, in via Lanzone 30, saranno invece proiettati i film girati dal regista inglese. Da non perdere Il Signore delle Mosche (l'1 marzo alle 21.15 e il 5 marzo alle 15), il Mahabharata, fluviale traduzione cinematografica di un poema epico indiano (il 4 marzo alle 21) e «Incontri con uomini straordinari» (il 4 marzo alle 18.30 e il 5 alle 21.15).
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