Attenzione a utilizzare decreti ingiuntivi, opposizioni, querele e controquerele per far valere le proprie ragioni. L'abitudine a litigare passando attraverso avvocati, carte bollate e in ultima istanza giudici potrebbe essere condannata con un «danno punitivo». Materia controversa in giurisprudenza, ma applicata per la prima volta al Tribunale di Milano che con una sentenza sui generis ha condannato a 10mila euro di multa una donna per «abuso di processo». Le parti in causa sono marito e moglie, ormai ex, che da due anni si combattono in tribunale per via di una separazione giudiziale decisamente molto litigiosa. Oltre alla causa di divorzio i due infatti hanno dato il via ad altri tre procedimenti: un'opposizione ad un'esecuzione forzata, un recupero crediti e infine un'altra opposizione ad un decreto ingiuntivo. «Dati allarmanti in nemmeno due anni giudiziari» scrive il giudice Giuseppe Buffone nella sentenza. E spiega: «Vi è, di fatto, che la facoltà di disporre di buone risorse economiche, da un lato, e la natura litigiosa dei rapporti dall'altro, hanno indotto i litiganti a trasferire nel contesto giudiziario il loro terreno di scontro: come accade nel caso di specie la ex moglie perfettamente a conoscenza della natura del contratto e del suo impegno a restituire il bene oggetto di prestito d'uso (un macchinario della ditta) di fronte alla richiesta del marito, interpone opposizione a decreto ingiuntivo, qui rivelatasi manifestamente infondata e, per di più, sorretta da un elemento soggettivo di rimproverabilità (colpa)». Secondo il giudice la donna avrebbe agito se non con malizia, sicuramente in mala fede, solo per fare un dispetto all'ex coniuge. Il giudice non ha avuto dubbi e ha condannato la donna a 10mila euro applicando la nuova legge 69 del 2009, la legge Brunetta sulla semplificazione e lo snellimento della burocrazia che ha modificato anche il processo civile italiano e, come per il sistema anglosassone, ha introdotto il danno punitivo. «Si tratta di una sanzione per avere prodotto un contenzioso civile che non doveva essere prodotto - spiega il giudice firmatario della sentenza - aggravando il ruolo giudiziario e contribuendo ai ritardi nella definizione dei processi che, come tutti sanno, vedono l'Italia debitrice di circa 20 milioni di euro. E' un tema, però, di forte dibattito che sta causando profondi scontri anche ideologici. Certo che, oggi, chi fa causa, rischia di vedersi irrogato una condanna anche alta se ha agito senza cautela. Nel mio caso la ex moglie aveva fatto causa solo per dispetto. Io l'ho condannata a 10mila euro di danno». Litigare ricorrendo al tribunale rimpingua di sicuro le casse degli avvocati, ma non fa bene alla giustizia.
«L'abuso del processo causa un danno indiretto all'erario per l'allungamento del tempo generale nella trattazione dei processi e va dunque contrastato - si legge nella sentenza - nell'attuale realtà storico-sociale, le istituzioni del Paese annoverano le inefficienze e le lunghezze del sistema giudiziario civile tra le cause del rallentamento dello sviluppo economico dell'Italia.
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