RomaIl caso letterario francese 2007 approda al cinema e subito divide. L'eleganza del riccio di Muriel Barbery (Edizioni e/o) è un romanzo molto letto (ha vinto il Premio dei Librai), molto detestato (i lettori del Corriere della Sera lhanno messo in cima ai peggiori best seller) o molto amato e adesso è una commedia di Moona Acheche, Il riccio (da oggi nelle sale), che, dopo aver perso leleganza nel titolo, ha il privilegio e lhandicap di doversi confrontare con loriginale di carta. In realtà, allo spettatore non importa molto se la trasposizione cinematografica sia o non sia conseguente, rispetto alla sua fonte letteraria.
Ma in Francia lopera è stata pubblicata col sostegno del ministero della Cultura-Centre National du Livre, così i critici della Rive Gauche (ma anche della Droite), allertati da tanto onore, hanno fatto a pezzi la portiera (Josiane Balasko), che dalla sua guardiola dun palazzo bene di Parigi posa il suo sguardo ironico sul mondo, discettando di musica e di cultura giapponese. Un po come nel caso Allevi (simpatico impostore o grande musico?), di qua gli esegeti, di là gli affossatori. Tra i primi spicca Alberto Bevilacqua, autore che legge molto. «Uno dei libri più indovinati che ho letto. Cè questa curiosità interrata, come la portinaia, che galleggia in una sottodimensione fasulla. E la fasullaggine, come Joyce insegna, conta. Non è una lettura femminile: anzi. Il personaggio femminile vive interrato e mi fa pensare alla canzone di De Gregori, La donna cannone, che la dice lunga sulla considerazione degli esseri femminili», spiega Bevilacqua, che non vedrà il film per non farsi guastare lidea del libro, da lui apparentato a I miserabili di Victor Hugo.
Meno letterario, ma ugualmente entusiasta, il giudizio dei fratelli Vanzina, spesso alle prese con novelle e romanzi. «Uno dei problemi del cinema italiano è che non ha più una frequentazione costante con la letteratura. Bello il rapporto tra i film e i romanzi di Moravia, Berto e Bevilaqua. Una volta andai da Moravia, a chiedergli il permesso per portare sullo schermo un suo racconto. Mi disse dessere indifferente a quel che ne avrei fatto: per me è il giusto atteggiamento», commenta Enrico Vanzina, che ha fatto bingo con Sotto il vestito niente e I miei primi quarantanni, tratti dai relativi romanzi. «Il libro della Barbery è divertente, il film sarà giusto. Non ci andò bene quando con Tre colonne in cronaca provammo a trasporre il romanzo di Giuseppe Berto», ricorda Carlo Vanzina, pure lui nostalgico dei tempi in cui da un buon libro si traeva un buon film.
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