La parola magica da inserire nel curriculum è «master». Non basta più scrivere che si è laureati, nemmeno se a pieni voti e con il bacio accademico. Quella ormai è roba che fa effetto solo a mamma e papà, fotografie buone a prendere polvere sui comò di casa. Le aziende cercano altro, vogliono di più. Ora la chiave di accesso per il mondo del lavoro è la specializzazione, altrimenti, adios posto fisso, si può sperare al massimo in uno stage non retribuito.
Proprio così, gli uffici del personale preferiscono i titoli di studio: più specializzato sei in un settore, più hai possibilità di firmare il contratto. La richiesta dei lavoratori pluri-titolati, soprattutto ingegneri, è in crescita. Tanto che nel 2008, per la prima volta dopo dieci anni, il numero di laureati e diplomati all’interno delle aziende è pari alla metà degli assunti. Un dipendente su due ha completato il percorso di studio fino ai gradini più alti. È quanto emerge da un’indagine condotta da Unioncamere che legge nell’iper-selezione una risposta alla crisi economica e al ristagno dei consumi. «Le imprese si riorganizzano per aumentare la qualità dei prodotti e dei servizi». E per farlo vogliono menti fresche ma strapreparate. Saranno 88mila i neoassunti con laurea nel 2008: la metà con una laurea specialistica, il 20 per cento con in mano una laurea breve.
Il datore di lavoro vuole titoli, meglio se di nicchia? Detto fatto. Ecco che fioccano i master universitari. Di ogni tipo, in ogni università: specializzazione in enologia, in accessi venosi, in progettazione degli yacht, in costruzioni con la pietra. E ancora, in design dell’automobile, in food and beverage, in problemi della deglutizione, in gestione delle strutture di benessere. Uno dei filoni più quotati è quello dell’architettura dell’ambiente con tutte le sotto specializzazioni annesse e connesse. Una scelta ampia. Pure troppo. «C’è indubbiamente un eccesso di offerta - commenta Giovanni Valotti, responsabile della divisione master dell’università Bocconi - e questo crea confusione. Molti corsi proposti non riscuotono successo e vengono chiusi. Non è semplice acquistare un buon master che garantisca una preparazione di qualità e che soprattutto assicuri un posto di lavoro».
Altro punto critico, appunto. Il master costa una fortuna: si va dai duemila ai diecimila euro all’anno. Ma poi si è sicuri di trovare lavoro? E soprattutto: con che stipendio? Ottocento euro al mese e basta? «Dipende - precisa Valotti -. I dati dimostrano che chi frequenta un master trova lavoro velocemente. Per quanto riguarda la retribuzione, gli inquadramenti spesso non sono al primo livello. Soprattutto certi master, penso al Mba, permettono di raddoppiare lo stipendio. Chi li frequenta deve già avere un’esperienza di lavoro di almeno due anni».
Quello che manca forse è il dialogo con le aziende. C’è ma non sempre è sufficiente. Insomma, l’ateneo che organizza un master a numero chiuso dovrebbe calcolare in anticipo quanti studenti potranno poi trovare lavoro per non lasciarli «a spasso». «Sì - spiega il direttore bocconiano -. Ovviamente prima di lanciare un master facciamo un’indagine di mercato ma di certo non li realizziamo “su commissione” delle aziende».
Statistiche a parte, la scelta del corso di laurea avviene ancora per passione e non per opportunità lavorative. I ragazzi che scelgono il percorso di studi in cui avventurarsi lo fanno ancora seguendo le proprie inclinazioni, i propri sogni. Chi con le idee chiare, chi un po’ più titubante.
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