Francesca Amé
Possiamo essere nomadi per necessità, per vocazione o per caso. Adrian Paci lo è grazie a tutti questi fattori mescolati insieme. Sguardo dolce e italiano curato di chi pesa una a una le parole che pronuncia, Adrian Paci è un artista. Un artista albanese.
Sgomberiamo subito il campo da equivoci: non è un creativo di strada, un madonnaro o un giocoliere, ma un pittore che sino ad oggi - e Adrian è giovane: classe 1969 - ha sperimentato il video, la pittura, linstallazione, la scultura e la fotografia con ampio successo. «Larte ho cominciato a respirarla presto in casa - racconta -, mio padre faceva il pittore». E subito ci lascia intravedere uno spaccato dellAlbania a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta: le famiglie che vivevano con poco ma dignitosamente, la religione bandita, le difficoltà. Persino larte era trascurata: «A scuola si arrivava a studiare il passato sino allimpressionismo, poi il nulla. Non sapevamo niente di quello che accadeva nel mondo. Non conoscevamo Picasso, Wahrol, niente di niente».
Un quadro che sembra stridere con le note professionali dellautore: ha esposto al MoMa di New York, a Zurigo, in Svezia e poi alla Galleria darte moderna e contemporanea di Bergamo, allultima Biennale di Venezia e - da oggi - nella prestigiosa sede della Galleria civica di Modena (sino al 16 luglio, ingresso libero) per una mostra curata da Angela Vettese. Che cosa ci fa un albanese alla corte di una delle più stimate critiche d'arte? Crea, e crea benissimo.
Per capire qualcosa in più abbiamo incontrato Adrian Paci qualche giorno fa in un caffè in via dellOrso, nei pressi della Galleria Francesca Kaufmann dove è di casa: poco preoccupato dellimportante debutto, Adrian ci dice di non amare le etichette. Anche quella di artista albanese gli va stretta. «Quando sono arrivato in Italia, nel 1992, ero consapevole di essere un privilegiato, ma anche una vittima di molti pregiudizi. So che gli sbarchi dallAlbania hanno creato tensioni e ancora oggi a Milano mi sento uno straniero. Non è un male: tale sospensione non è comoda, ma stimolante per me. Lo sguardo di uno straniero vibra, non è mai statico».
Estraneo al circuito dellarte in Italia («preferisco contattare colleghi internazionali: per questo uso Internet, la nuova frontiera di comunicazione per noi artisti», dice), deve parte del suo successo alla religione. Quando agli inizi degli anni Novanta lAlbania cominciò ad aprirsi ai culti pubblici, prima vietati dal governo, lIstituto Beato Angelico di Milano finanziò una borsa di studio per uno studente albanese meritevole. Adrian la vinse e per tre anni si dedicò a Milano al tema del corso: «Arte e liturgia». Farà in seguito la spola tra le due sponde dellAdriatico sino a decidere, nel 97, di vivere definitivamente a Milano. «Sono tornato con un biglietto regolare mentre tanti miei connazionali praticavano vie più avventurose», racconta.
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