La Giustizia a Roma tra il Quattrocento e l’Ottocento, la mano ferrea dei tribunali pontifici e le storie di personaggi leggendari come la giovane nobile romana Beatrice Cenci, il filosofo Giordano Bruno, Benvenuto Cellini, l’esoterista Borri, il conte di Cagliostro. Cospiratori, forestieri, assassini, carbonari e garibaldini che finirono nelle più atroci e anguste prigioni della città, rei di aver portato scompiglio nella vita pubblica per la loro condotta, ma anche solo per il loro pensiero. E la fortezza-prigione di Castel Sant’Angelo al centro di una narrazione inusuale e avvincente proposta nella mostra "La Bilancia e la Spada. Storie di giustizia a Castel Sant'Angelo", aperta da oggi fino al 1 ottobre al Museo Nazionale di Castel Sant'Angelo, curata da Mariastella Margozzi con Vincenzo Lemmo, Michele Occhioni, Laura Salerno e organizzata con il supporto del Centro europeo del Turismo e della Cultura.
"La mostra è pensata per raccontare le storie vissute all'interno del Castello nell'arco dei secoli che permettono di guardare a questi spazi non solo come monumento ma anche come luogo di vita”, ha spiegato la direttrice del museo Mariastella Margozzi e presenta novità come la porta magica dell'esoterista Giuseppe Francesco Borri ricostruita in digitale che “finalmente si può osservare da vivo attraverso una ricostruzione digitale che dimostra come la tecnologia può mostrare cose realmente esistite che prima si potevano solo immaginare".
Attraverso i racconti delle vite dei prigionieri e dei condannati è possibile ricostruire non solo le atmosfere di epoche passate, ma anche l'incredibile storia degli spazi e degli scenari in cui le punizioni corporali, i processi spesso farsa e le macabre uccisioni che ebbero luogo a Roma tra il XV e XIX secolo. Dipinti, sculture, disegni e incisioni riproducono personaggi ed eventi assieme a importanti documenti di processi famosi, memorie di alcuni protagonisti, oggetti che li rappresentano, pubblicazioni originali di testi, poesie e quanto di interessante e curioso possa illustrare le epoche dell'esercizio della giustizia a Castel Sant'Angelo, grandiosa costruzione eretta dall’imperatore Adriano come tomba per sé e per i suoi successori, fu iniziata intorno al 123 d.C. e terminata da Antonino Pio un anno dopo la morte di Adriano (139 d.C.). Qui furono accolte le sepolture dei membri della famiglia imperiale fino all’imperatore Caracalla (217 d. C.).
L’edificio di Adriano, con la fine dell’impero romano nel 476 d.C., abbandona definitivamente la sua funzione di Mausoleo per assumere quella di fortezza e fu l’ostrogoto Teodorico (493-526 d.C.) a farne un carcere. Con il potere temporale del Pontefice, Castel Sant’Angelo, dopo essere passato tra le varie casate dell’aristocrazia romana, divenne un luogo di prigionia e di supplizi per i vinti di ogni epoca. Nel 1365 venne ceduto dagli Orsini al papato. Niccolò III iniziò la sua trasformazione in sicura residenza pontificia e lo collegò attraverso il Passetto di Borgo a San Pietro.
Ai suoi merli Ottone III di Sassonia fece impiccare Crescenzio alla fine del X secolo, mentre l’imperatore Enrico IV nel 1083 vi assediò papa Gregorio VII. Con coraggio, nel 1155 i cittadini romani resistettero da qui al Barbarossa, in quel momento padrone di Roma, e nel 1347 vi trovò rifugio il tribuno Cola di Rienzo; nel 1440 vi morì prigioniero il Cardinale Vitelleschi, governatore dello Stato Pontificio; nel 1453 vi fu impiccato Stefano Porcari, sognatore della restaurazione dell’antica repubblica, e diversi anni dopo vi furono imprigionati, accusati di congiura e di eresia, gli umanisti Bartolomeo Sacchi (detto il Platina) e Pomponio Leto. Nel 1503 vi morì in prigionia il cardinale Giovanni Battista Orsini e nei primi anni del XVI secolo vi trovarono la morte alcuni avversari dei Borgia. Nel 1527 papa Clemente VII, attraverso il Passetto di Borgo vi si rinchiuse per sfuggire alle truppe di Carlo V durante il Sacco di Roma.
In questa circostanza anche Benvenuto Cellini, celebre orafo e scultore, trovò rifugio nel Castello insieme a una parte della popolazione della città e lo raccontò nelle sue memorie. Nel 1538 vi ritornò ma come prigioniero, accusato di furto nella tesoreria del papa. Evase calandosi dall’alto muro usando lenzuola annodate ma fu catturato. Cellini temette il peggio ma fu perdonato e liberato.
Alla fine del XVI secolo saranno incarcerati e processati a Castel Sant’Angelo, Giordano Bruno e Beatrice Cenci, la "vergine innocente" che fu protagonista di una delle più fosche tragedie dell’epoca: incolpata insieme ad altri membri della famiglia dell’uccisione del padre Francesco, venne decapitata a Piazza Ponte, luogo della maggior parte delle esecuzioni di quei tempi, anche se numerose furono quelle eseguite nelle celle e nel Castello.
La detenzione toccò anche a Giuseppe Francesco Borri, medico alchimista ed esoterista, presunto autore dei motti latini e dei simboli incisi lungo gli stipiti della cosiddetta Porta Magica che vi morì nel 1695. Alla fine del XVIII secolo, anche Giuseppe Balsamo, il “Conte di Cagliostro”, dopo una condanna del Sant’Uffizio, fu tenuto prigioniero prima di essere condannato e inviato a finire i suoi giorni nella rocca romagnola di San Leo.
A partire dal XVII secolo Castel Sant’Angelo perde un po’ alla volta il ruolo di residenza pontificia per diventare quasi esclusivamente un carcere politico. Oppositori del dominio temporale, carbonari e patrioti finiscono i loro giorni di prigionia nelle sue prigioni almeno fino al settembre del 1871, anno in cui Roma viene proclamata capitale del Regno d’Italia. Le sue prigioni, ricavate in ogni spazio possibile, furono sempre affollate, così come nella sala della Giustizia vennero celebrati moltissimi processi. Numerosi prigionieri lasciarono iscrizioni a graffito sui muri delle loro celle, crude e disperate testimonianze di vita e di dolore. Le esecuzioni venivano svolte nella Piazza delle Fucilazioni, davanti alla Cappella dei Condannati. Le impiccagioni e le decapitazioni avvenivano invece oltre Ponte Sant’Angelo, in Piazza di Ponte o in altri luoghi della città. La suggestione di questi spazi è ripercorsa in mostra dalle sedici tavole delle Carceri d’Invenzione di Giovanni Battista Piranesi.
Si dà voce anche al carnefice per eccellenza della Roma papalina, Mastro Titta, dal 1796 al 1864 “Maestro di Giustizie” dello Stato Pontificio. Narratore d’eccezione delle “imprese” di Mastro Titta è stato il celebre poeta romanesco Giuseppe Gioachino Belli, che tra il 1829 e il 1849 compose oltre duemila Sonetti, apprezzati soprattutto per il ritratto che vi viene fatto della Roma dell’epoca, dei suoi abitanti, della corruzione, degli abusi di governo, dell'ozio e della lussuria dei potenti, ma anche del torpore, dell'ignoranza e dell'insipienza del popolino.
Non poteva mancare un capitolo dedicato all’unica storia di fantasia che tratta delle prigioni e delle fucilazioni di Castel Sant’Angelo, quella della Tosca di Giacomo Puccini che ha come sfondo la Roma del 1800: il protagonista del melodramma, il pittore Mario Cavaradossi vi finisce incarcerato con l’accusa di tradimento. Quando viene fucilato, Tosca, la sua amante, si uccide gettandosi dagli spalti.
Fotografie, dall'alto verso il basso:
Lorenzo Vallès (Madrid, 1830 – Roma, 1910) Il cadavere di Beatrice Cenci è steso sul Ponte degli Angeli a Roma - 1860 ca.
- Olio su tela - Roma, Collezione privataBernardo Celentano (Napoli, 1835 – Roma, 1863) Benvenuto Cellini a Castel Sant'Angelo - Primo bozzetto 1856 - Olio su tela - Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea
Pittore italiano dell’inizio del XX secolo, Il carcere militare del Forte Sant’Angelo XX secolo, inizio - Acquerello - Roma, Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo
Giovanni Battista Piranesi (Mogliano Veneto, 1720 – Roma, 1778) - serie delle Carceri d’Invenzione - Pilastro centrale con bassorilievo a figure e quattro mascheroni con anelli 1761 - Acquaforte - Roma, Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo
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