Daniele Scurati
Voglia di sushi? Attenzione al tonno. Complice la moda orientale del consumo crudo, in voga anche tra i pubblici esercizi italiani, questa golosità rischia di essere pagata a caro prezzo. Dall'inizio dell'anno sono 45 i milanesi intossicati per sindrome sgombroide. «Un fenomeno emergente che coinvolge soprattutto snack bar e ristoranti - denuncia Piero Frazzi, responsabile del Dipartimento di Prevenzione Veterinario -, che sarà oggetto di una prossima campagna informativa centrata sulle regole di conservazione degli alimenti».
La sindrome sgombroide si manifesta attraverso arrossamenti, palpitazioni, una vampata di calore e l'improvviso calo pressorio, seguiti in genere da vomito e diarrea. Nel giro di 15 minuti una allegra cenetta al ristorante rischia di concludersi nelle sale del pronto soccorso.
La causa si chiama istidina, un amminoacido di cui il tonno è ricco, che in seguito a contaminazione microbica, dovuta a cattiva conservazione, si trasforma in istamina e diventa nociva. Dopo i primi otto mesi del 2006, sono già 45 i milanesi (21 i casi) rimasti intossicati. Lo scorso anno erano stati 34 (18 casi).
«Si tratta di una specie di shock anafilattico, non importa se la carne è cruda o cotta», spiega Edgardo Valerio, direttore del servizio igiene degli alimenti e della nutrizione (Sian). I numeri potrebbero far pensare a una correlazione con il boom della cucina orientale, ma il direttore del Sian ci tiene a sottolineare «di non avere trovato una rilevanza di ristoranti etnici».
Dove nasce allora questa emergenza? «È dovuta soprattutto alla moda di consumare il tonno crudo - afferma Renato Malandra, direttore sanitario del mercato ittico all'ingrosso di Milano -. Tutti si sono messi a lavorare questo pesce, ma senza conoscenze adeguate. Non fanno attenzione alla temperatura, che deve rimanere sempre intorno allo zero: a questa gradazione può stare anche un mese e l'istamina non si forma».
Il problema riguarda anche il tonno in scatola. E coinvolge in primo luogo snack bar e ambulanti, che preparano i panini utilizzando per comodità grosse latte. «Le usano anche perché hanno tranci migliori - precisa il dottor Malandra -. Ma il consumo dopo l'apertura deve essere rapido, come avviene per le piccole confezioni acquistate dal negoziante. E bisogna fare attenzione al contatto con altri alimenti, altrimenti si rischia la contaminazione».
Per capire la freschezza di un pesce si guardano occhio, branchie, pelle. Se il colore è rosso vivo, allora non ci sono dubbi.
Niente di più sbagliato. Perché l'ultima trovata, laffumicatura, (vietata nella Comunità Europea, eccetto in Olanda), attraverso il monossido esalta la colorazione, mantenendola a lungo. E ingannato dal bell'aspetto, il consumatore rischia di acquistare un prodotto avariato.
Nei primi mesi del 2006, a Milano, ci sono stati quattro casi di sequestro di pesce al monossido e due intossicati (erano dieci nel 2005 con due tossinfezioni). L'associazione Altroconsumo ha recentemente pubblicato un'indagine (mese di ottobre), compiuta tra diversi punti vendita della città, che fotografa una situazione ben più allarmistica. Su 13 campioni analizzati 4 erano contaminati da monossido.
«Da tre anni in ambito scientifico si parlava di questo problema e allora abbiamo voluto verificare sul campo - dice Emanuela Bianchi, tecnologa alimentare -. Abbiamo ovviamente fatto le segnalazione ai Nas e all'Asl. Fortunatamente non abbiamo trovato istamina».
Dunque, nonostante l'illecita affumicatura, il pesce era fresco.
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